Negli Usa i millennials vogliono cambiare vita. Sono stufi di come il mondo del lavoro li tratta, e hanno ragione. Io sono una di loro: tutti quelli che conosco vivono nell'ansia. Lavorano troppo, non hanno hobby e devono scegliere tra la palestra e le uscite con gli amici, perché spesso hanno un doppio lavoro anche di sera. Tutti quelli che conosco hanno una vita fantastica di backup, nella quale si rifugiano ogni volta che leggono le news di cronaca. I millennials vogliono solo scappare, e hanno ragione.

Lavoriamo troppo e non faremo mai carriera

Lavoriamo come pazzi per via dei prestiti che siamo stati costretti a chiedere, per pagarci gli studi. Molti di noi, infatti, si sono laureati durante la recessione, e si sono poi dovuti adattare a fare dei lavori che non c'entrano nulla con le nostre abilità e competenze, o che non vanno affatto d'accordo con i nostri valori personali, e intanto i nostri stipendi annui sono diminuiti del 7,7% rispetto al 2000. Con la crisi, poi, le aziende hanno tagliato diverse posizioni di management per ridurre i costi, così non possiamo nemmeno contare su un avanzamento di carriera: tutto il nostro duro lavoro non ci frutterà alcuna promozione. Non siamo affatto soddisfatti della nostra vita professionale, ci sentiamo bloccati: vogliamo qualcosa di meglio. Certo, ogni generazione può essersi sentita demotivata e in crisi a un certo punto, ma la differenza è che oggi alcuni di noi Millennials stanno reagendo.

Nessun posto di lavoro è per sempre (ma nemmeno per più di 5 anni)

Nel 2015, i 18-34enni sono diventati la maggioranza della forza lavoro negli Usa, ma proprio in quello stesso periodo la quantità di lavoratori millennials che perdevano il proprio posto ogni anno ha registrato un'impennata, superando di gran lunga il numero totale di licenziamenti. Il 2016 Deloitte Millennial Survey (svolto su 7.700 millennials di tutto il mondo) ha scoperto che il 67% delle ragazze della nostra generazione si aspettano di lasciare il proprio attuale lavoro entro i prossimi cinque anni. Anche se non sappiamo se si tratta di persone che cambiano spesso, o che sono intenzionate a perseguire i propri obiettivi passando alla libera professione, tuttavia questo dato indica chiaramente che noi della Generazione Y, al contrario di quelle precedenti, non restiamo per forza attaccati a un lavoro che non amano. Se decidiamo di darci da fare e lottare, non importa come, potremmo conquistarci davvero una vita migliore.

L'importante è avere uno scopo

Emily Esfahan Smith, editor all'Hoover Institution della Stanford University, afferma che tutto sta nel trovare uno scopo. Nel suo nuovo libro, The Power of Meaning: Crafting a Life That Matters, sostiene che la ricerca di una vita piena di significato - magari più impegnativa, ma che dà la sensazione che si sta facendo la differenza - porta a una maggiore felicità a lungo termine rispetto a un'esistenza basata su una felicità percepita momento per momento.

Jake Keiser è una ex workaholic che da pierre è diventata allevatrice di capre in una fattoria nel Missouri. Quando lavorava in una società di pubbliche relazioni di successo ogni giorno, anche la domenica, e spesso pure di notte, passava da sprazzi brevissimi di felicità a lunghi periodi di depressione, in cui si chiedeva cosa stesse facendo. Non è stato facile (aveva zero esperienza in allevamento) e ora guadagna molto meno rispetto a prima, ma prendersi cura degli animali la sta ripagando. In futuro potrà vivere di rendita con tutti i dividendi di felicità che sta incamerando.

Insomma, sempre più millennials stanno decidendo di cambiare vita negli Usa. Diversi giovani americani, poi, sono rimasti così delusi dai risultati elettorali recenti e si stanno trasferendo all'estero. Sono scelte forse drastiche, ma che premiano desideri ed esigenze autentiche. Una tendenza che sta facendo proseliti e che merita una riflessione globale.