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Fumava in continuazione sigarette al mentolo: il suo alito era praticamente un mix di nicotina e menta. Ogni volta che ti salutava con un bacio sulla guancia, ti rimaneva addosso l'odore, oltre al suo rossetto fucsia. 

Il peggior capo con cui ho lavorato? Era una donna davvero insopportabile. Quando le capitava di rimanere in ufficio fino a tardi (e capitava molto spesso), svuotava bottiglie di chardonnay da poco prezzo che mi mandava a comprare al supermercato all'angolo. E poi si metteva a piangere. E a urlare. Mi diceva che ero la migliore risorsa del suo staff, e poi che ero la peggiore. E non si dimenticava mai di ricordarmi che il mio futuro professionale dipendeva da lei. Ma era anche una persona affascinante, bella e intelligente. Come le cattive dei film Disney. 

A volte sembrava quasi la migliore amica che avrei potuto avere, solo che non eravamo amiche. Lei era il mio boss.

Ho lavorato diversi anni intrappolata in una relazione che, a ripensarci, era basata sulla manipolazione. Ho lasciato che questa donna scalfisse la mia autostima e mi ha pure allontanato dalle colleghe.

Poi un giorno mi sono trovata anch'io in lacrime, a fumare sigarette al mentolo in un parcheggio vicino all'ufficio, dove i topi razzolavano liberamente. 

Ne ho avuto abbastanza e mi sono licenziata. Ho buttato lo smartphone da un ponte: mi sembrava di essere in una scena del film Jerry Maguire

Guardandomi indietro, però, oggi mi sento di ringraziarla. Avere avuto un capo infernale mi ha aiutata a diventare, con il tempo, un bravo capo. 

Mi sono trovata a pensare a lungo al rapporto tra un boss e i suoi collaboratori, mentre scrivevo il mio ultimo romanzo, The Knockoff. È una specie di Il diavolo veste Prada, solo che la cattiva è l'assistente. Ricordo che quando era uscito il film, stavo proprio vivendo il massimo disagio con la mia ex aguzzina e ho pensato: "Be', Anne Hathaway non se la passa poi tanto male. La sua capa le ha detto solo che è grassa. La mia ci ha provato pure con il mio ragazzo".

Nella mia carriera sono stata sia assistente sia capo, e in entrambi i ruoli talvolta sono stata amabile e altre terribile. In generale, probabilmente mi sono trovata spesso a metà tra questi due estremi. E oggi come oggi, mi vedo come una persona piacevole con cui lavorare. 

Sono managing editor di Yahoo Travel, e parte del mio lavoro è gestire lo staff, i blogger che lavorano per noi e la nostra scuderia di free lance. Certo, non c'è sempre bisogno che tutti mi amino, ma spero che mi rispettino e pensino che io faccia bene il mio lavoro. 

Viceversa, ho avuto molti capi in gamba, eppure non sono stati loro ad aiutarmi a capire davvero come si diventa una brava manager. Sono stati i peggiori a insegnarmi cosa si deve e cosa non si deve fare, quando ti ritrovi in una posizione di comando. E tra i peggiori, la migliore è stata lei. Ecco le regole di vita che la mia ex capa mi ha trasmesso.

1. I pettegolezzi sul lavoro sono terribili. Lei sfruttava il gossip d'ufficio per ottenere quello che voleva. Sapeva sempre chi aveva una tresca, chi era incinta o chi era sul punto di divorziare. Spiava regolarmente i nostri computer e sbirciava sui nostri cellulari appena li scordavamo su una scrivania. E quando ti prendeva di mira, sapeva perfettamente in che modo spingerti a fare quello che voleva lei. Anche se può sembrare divertente, spettegolare al lavoro è sempre una mossa sbagliata. 

2. Mai ubriacarti con il tuo staff. Se esci con capi e colleghi, fai attenzione a non esagerare: sorseggia un bicchiere di buon vino e fermati lì. Io, per esempio, so che non reggerei l'alcol come la mia collaboratrice ventiquattrenne, perciò non ci provo neanche. Gli shottini? No, grazie, meglio evitare. Una volta, la mia ex capa si è messa a gridare con una in mezzo al bar perché era convinta che le avesse rubato il drink.  Per svuotare la bottiglia ci sono le serate con le amiche.

3. La tua vita privata deve rimanere privata. La mia capa aveva frequentato un gran numero di uomini. Ed era una di quelle cose di cui amava parlare. A volte se ne vantava, altre si lamentava, ma non c'era molto che io potessi dirle. Quindi le sorridevo, facevo di sì con la testa e, di tanto in tanto, le dicevo «Ma dai!», per darle l'impressione che la ascoltavo e che mi interessasse davvero. 

4. Ascolta chi lavora per te. La mia ex capa amava sentire il suono della sua voce. Parlava quasi esclusivamente di sé, e naturalmente dei collaboratori che non sopportava. Niente di più odioso e negativo. Al contrario, se vuoi essere un boss in gamba, ti conviene tenere la bocca chiusa e ascoltare il tuo staff: così impari moltissimo e vieni a scoprire cose interessanti. Io non sono onnisciente. Anzi, so la metà delle cose che dovrei sapere. E le persone con cui lavoro mi insegnano ogni giorno qualcosa di nuovo proprio perché le ascolto. Quando cercavo di infilare una frase nel monologo della mia ex capa, lei cambiava sempre argomento e tornava sempre a parlare di lei. 

5. Non dire parolacce in ufficio. La mia torturatrice non faceva che dire "ca**o"  e "fi*a" in ogni frase. Di conseguenza, anche se i miei colleghi raramente pronunciavano la prima parola, la seconda era sulla bocca di tutti. Credo che pensasse che parlando così dava l'impressione di essere una tipa tosta. In realtà, era solo sgradevole e volgare. 

6. Il solo fatto di essere il capo ti rende autorevole. Se hai un ruolo di potere, già questo fatto in sé ti attribuisce un alone di autorità. Non c'è bisogno di fare altro, tipo incutere un inutile timore nel tuo staff. Io ero terrorizzata dalla mia ex capa, perché era una strega. Ma se la gente rispetta te e il tuo ruolo, non c'è bisogno di creare un clima di terrore perché sia motivata a lavorare per te. 

7. Se decidi di fare un complimento, devi essere sincera. Quando ero all'inizio della mia carriera, ci tenevo moltissimo a fare bella impressione. A volte esageravo, leccavo un po' i piedi e dicevo sempre sì. Ero pronta a tutto, sempre. L'unica cosa che volevo era che la mia boss mi mettesse una mano sulla spalla e mi ringraziasse per l'ottimo lavoro svolto. Quando era di buon umore, effettivamente tesseva le mie lodi e dichiarava a tutti che ero il suo braccio destro. Diceva che era fortunata a poter contare su di me. Ma appena facevo qualcosa che la irritava, cambiava faccia e mi urlava irritata e aggressiva che ero la sua peggiore collaboratrice di sempre. Mi diceva che ero una pessima scrittrice, e che come giornalista ero anche peggio. E io tornavo a casa in lacrime e per consolarmi mi accendevo una sigaretta al mentolo. 

8. Aiuta le altre donne. Solo ad anni di distanza mi sono resa conto di come la mia ex capa impedisse scientificamente alle donne che lavoravano con lei di legare tra loro. Donne che, oggi, hanno tutte posizioni di successo. E indovina con chi nessuna di loro collaborerebbe adesso si sognerebbe di collaborare?

Jo Piazza ha scritto All'inferno non c'è glamour (Piemme) e The Knockoff, ancora inedito in Italia.

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