«La mia vita è finita». Cosa può succedere di così grave, nella vita di una ragazza adolescente, per pensare una frase del genere?

Per esempio può succedere di bere troppo a una festa e che alcuni compagni di scuola, trovandoti svenuta su un divanetto, decidano di spogliarti, violentarti e disegnare col pennarello indelebile sul tuo corpo scritte oscene. Può succedere che riprendano tutto con lo smartphone e che in poche ore tutta la scuola, tutti i tuoi amici, tutte le persone che fanno parte del tuo piccolo mondo, ti vedano conciata così. È successo a Audrie Pott, che non ce l'ha fatta a sopportare l'umiliazione e il 12 settembre 2012 si è tolta la vita, all'età di 15 anni.

Si è uccisa per sfuggire alla sua nuova reputazione. Nel paesino in cui viveva con la sua famiglia, Saratoga in California, era praticamente impossibile sfuggire alla fama di ragazza facile che le aveva dipinto addosso il branco di ragazzini, che lei considerava amici.

I tre ragazzini che l'hanno violentata e filmata sono stati processati e ritenuti colpevoli, ma poiché minorenni hanno dovuto scontare una pena ridicola: due di loro hanno dovuto scontare 30 giorni di detenzione, a rate nel weekend, facendo lavori socialmente utili (pulire i giardinetti, raccogliere i rifiuti, cose del genere). Uno ha dovuto scontarne 45 di fila, ai domiciliari. Nel documentario i ragazzi confessano quello che hanno fatto: si sente solo la voce, le sembianze sono rese irriconoscibili per proteggere la loro identità.

Dalle loro parole incerte trapela la vergogna, ma si intuisce che la cosa gli è sfuggita di mano. Non si sono resi conto della violenza che hanno inflitto alla loro amica e non immaginavano conseguenze così drammatiche. Sentendo le loro "confessioni" vorresti piangere di rabbia e disperazione.

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C'è anche chi, dopo aver subito una violenza come questa, è riuscita a reagire. O meglio a sopravvivere. Daisy Coleman aveva 14 anni quando alcuni amici di suo fratello, poco più grandi di lei, una sera l'hanno fatta bere un po' troppo, fino a ridurla a uno stato di semi incoscienza. Dopodiché uno di loro l'ha violentata. Finita la "festa", l'ha riaccompagnata in macchina fino a casa. Per la precisione davanti a casa, lasciandola distesa per terra, sull'erba, al gelo: quella notte la temperatura è scesa sotto zero. L'indomani i suoi famigliari l'hanno trovata in fin di vita, con un principio di assideramento. Daisy è riuscita a sopravvivere, ma il trauma ha scavato un buco nero dentro di lei.

Nel documentario, che percorre alcuni mesi nell'arco della vita di Daisy, si vede questa bella ragazza bionda dagli occhi tristi diventare sempre più cupa, tingersi i capelli di nero, rasarsi le tempie, truccarsi di scuro come se volesse nascondersi dietro una maschera dark, scarabocchiare disegni angoscianti sul foglio bianco, trasformarsi in un'altra persona. Ha provato a suicidarsi varie volte, senza mai riuscirci.

Daisy oggi è tornata a vivere e a sorridere, ma porterà sempre addosso la cicatrice di ciò che ha subito. È riuscita a uscire dal suo personale baratro col supporto di un gruppo di aiuto, composto da altre donne che, come lei, hanno subito una violenza sessuale e un'umiliazione che dal privato è sconfinata nel dominio pubblico, trasformandole da vittime innocenti a bersagli del giudizio altrui. Facendole sentire giudicate per una crudele aggressione fisica e psicologica, che loro malgrado hanno dovuto subire e che le ha segnate per sempre.

Molte di loro si sono esposte, hanno raccontato la loro storia, facendosi portavoce di tutte le donne che non sono riuscite a trovare la voce. Per dare anche a loro la speranza e la forza di reagire. Per aumentare la consapevolezza e fermare la violenza.

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