Beatrice Quinta, all’anagrafe Visconti, torna in una veste inedita. Dimentichiamoci della ragazza che faceva tutto per stupire e apparire forte. Con Devota la cantante di Palermo che nel 2022 partecipava a X Factor, dopo aver vissuto di aspettative deluse, non da ultima l’esclusione dall’ultima edizione di Sanremo Giovani, mostra una nuova versione di sé: consapevole, serena e anche fragile. Perché non ha più paura di mostrare le sue debolezze e soprattutto non vuole più inseguire il successo e la fama a tutti i costi. Con lo stesso amore per la moda, ma con un trucco più leggero, per mostrarsi più vera anche nell’estetica, ora vuole fare musica per sé, certa che quando ti rimetti al centro e ti dedichi a quello che ti piace davvero, è più facile arrivare e farsi capire dagli altri. Sei nuove canzoni che passano dalla sensualità al ritmo, partendo dalla title track che racconta un sogno erotico per finire con “Pelle” che sprona alla libertà di vivere i propri sentimenti, raccontando storie molto personali che la mostrano per quello che è, per quello che vuole essere. Aspettando di tornare a suonare live.

A cosa sei devota?

«A me stessa, alla vita che scelgo, alle persone che scelgo. Per essere devota agli altri e amorevole nei loro confronti devo mettermi al primo posto».

Come sei arrivata a questa nuova consapevolezza?

«Ho dovuto fare i conti con le cose che ho vissuto… o che non ho vissuto. Ho sentito il bisogno di comunicarmi nella mia interezza, non solo negli aspetti che fa più comodo mostrare. La mia forza, il mio amore per me stessa, la body positivity erano i miei messaggi, ma poi mi sono resa conto di avere gli stessi dubbi di tutti. Spesso non mi piaccio, a volte sono davvero forte, ma sono anche fragilissima. E prima non tolleravo l’idea che gli altri mi vedessero fragile… E proprio questo era diventata la mia fragilità».

Perché questa paura di essere considerata fragile?

«Perché le persone possono usarlo contro di te. E io non volevo dare armi in più».

Dopo X Factor ti aspettavi che succedesse qualcosa di più?

«Potevano succedere cose che non sono successe. Ho vissuto un periodo in cui ho dovuto fare i conti con me stessa. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’esclusione da Sanremo giovani. Ero arrabbiatissima con me stessa. Ho provato delusione nei miei confronti. È stato istintivo pensare di non essere abbastanza. Non era abbastanza il pezzo, non era abbastanza la performance, non ero abbastanza io. Poi però ho capito che erano solo me mie insicurezze e lì ho deciso che sarei entrata in studio da quel momento in poi in modo diverso».

In che modo?

«Senza l’idea di fare un pezzo che spacca, ma fare quello che mi esce, quello che se lo riascolto a un anno di distanza mi fa sentire fiera, quello che se l’ascolta una ragazza come me, o anche diversa, può capire il mio dolore e sentirsi meno sola».

La solitudine è un tema dell’EP. Ti sei sentita molto sola?

«Vivo con la mia migliore amica, ho i miei amici di sempre. Eppure quando provo dolore tendo a isolarmi e chiudermi così tanto da ritrovarmi sola, perché non do a chi mi circonda l’occasione di farmi compagnia. Mi chiudo, ho paura che il mio dolore possa essere superfluo. Mi sento in colpa quando lo provo, perché vedo che c’è chi soffre più di me, per cose pià grandi. E allora penso di non potermi permettere di soffrire. Dovrei essere grata al mio privilegio, ma ora ho imparato ad accettare la mia fragilità. E la musica mi permette di dirlo. Ho raccontato cose che neanche il mio amico che mi conosce da quando ho 14 anni sapeva».


Tirarle fuori ti ha fatto bene?

«Sì, ci sono tante cose che ho nascosto ma più le nascondi più ti rendi conto di non averle ancora superate, perché non riesci a parlarne. Ma se le tieni lì, ti fanno diventare amara, ti avvelenano. Le ho buttate fuori».

Sei sempre apparsa molto libera.

«Ho sempre fatto finta di essere libera, da quando ero piccola. Adesso sto iniziando ad esserlo davvero».

Come vivi il sesso?

«Male. Se ne parli 24 ore su 24 non puoi viverlo bene. Sono tipo il rapper con le pistole, solo che io parlo di sesso. Diciamo che è più libero il mio modo di parlarne rispetto al modo in cui lo vivo. Solo nell’ultimo periodo sto imparando a godere delle sfumature di piacere e non di possessione, manipolazione, potere. Il sesso era questo prima».

Cosa ti ha fatto capire che era sbagliato?

«Grazie alle mie amiche, parlandone, scoprendo che non era quella cosa lì. Abbiamo tutte storie simili. La mia migliore amica mi ha fatto capire che non potevo accettare di non provare mai un orgasmo. Che il mio modo di vivere il sesso per compiacere e basta non era l’unico modo. Vivevo il sesso come una performance».

Conta quindi la solidarietà femminile che canti anche in “Pure le streghe”?

«Per me è tutto. Provengo da una famiglia dove il patriarcato è silente. Mia mamma, le mie due nonne che sono mancate da poco… La mamma di mio padre mi faceva scappare dalla finestra per farmi uscire con il mio ragazzo, quando avrebbe dovuto darmi lezioni di latino. Era super liberale, un genio».

Cresciuta a Palermo, ti sentivi diversa o volevi esserlo?

«Volevo sentirmi diversa, perché era inaccettabile per me pensare di non piacere, nonostante fossi uguale agli altri. Cioè dovevo trovare una spiegazione per la rabbia che vedevo nei miei confronti da parte degli altri. O il loro giudizio. Dovevo dare un motivo per odiarmi, quando invece volevo solo che mi stringessero e mi dicessero che ero brava».

Oggi come ti relazioni al giudizio degli altri?

«Vorrei poter dire che conta poco, ma ci sono messaggi che realmente mi colpiscono, con violenza. E i più forti sono quelli sinceri, quelli che mi fanno scontrare con le aspettative che gli altri hanno su di me».

E ora ci sono nuove aspettative?

«Ho pubblicato questo EP proprio perché non voglio più avere aspettative commerciali. Quando entri nel mainstream ci sono regole non scritte che devi rispettare. Non lo voglio fare più. Non voglio più entrare in schemi che non ho scelto io».