Sharon Barni, Victoria Osagie, Roberta Siragusa, Teodora Casasanta, Sonia Di Maggio, Piera Napoli, Luljeta Heshta, Lidia Peschechera, Clara Ceccarelli, Deborah Saltori, Rossella Placati. Sono 11 le donne uccise dall'inizio dell'anno a causa della violenza di genere. Più di un femminicidio a settimana a mostrare una ferita che la nostra società non sta riuscendo a rimarginare. Quando diciamo "violenza di genere" o "femminicidio" c'è chi pensa che si stia portando l'attenzione sul genere della vittima: a morire è una donna. La realtà è diversa: si sta facendo luce su chi commette il reato e sulle dinamiche con cui avviene. A compiere i femminicidi sono ex mariti, compagni, padri, uomini possessivi che non tollerano che le donne possano autodeterminarsi. Il problema è il modo in cui la società configura i rapporti di potere tra i generi e come gli uomini li interiorizzano arrivando a sviluppare una maschilità tossica volta al possesso e alla sopraffazione. La questione, quindi, semplicemente riguarda gli uomini quanto le donne: per ogni figlia, sorella, amica uccisa, c'è un figlio, un amico o un fratello che diventa un assassino. E allora perché gli uomini non scendono in piazza, non si battono perché tutto questo finisca? A Biella la compagnia Teatrando ha risposto all'appello e gli uomini hanno marciato indossando le scarpe rosse, simbolo della violenza di genere, per dire "Noi non ci stiamo". È da qui che dobbiamo ripartire.

instagramView full post on Instagram

"Uomini in scarpe rosse" era il titolo del flashmob organizzato da Paolo Zanone, imprenditore tessile e direttore artistico della compagnia Teatrando di Biella. L'idea è nata da un tweet di Milena Gabanelli: "Ne ammazzano una al giorno ma io vedo solo donne manifestare, protestare, gridare aiuto", ha scritto la giornalista, "Non ho visto una sola iniziativa organizzata dagli uomini, contro gli uomini che uccidono le loro mogli o fidanzate. Dove siete? Non è cosa da maschi proteggere le donne?". Così gli uomini di Biella si sono fatti sentire partendo dal Ponte della Maddalena e arrivando fino in centro città, dove hanno mostrato una serie di cartelli contro la violenza di genere. "Quando ho appreso", spiega Paolo Zanone a Laprovinciadibiella.it, "che nessuno degli esponenti della cultura, seppur sollecitati, si è messo in gioco, mi sono sentito chiamato in causa, come uomo e come persona che opera nel settore, seppur in un contesto piccolo come quello biellese".

"Amore non è violenza né possesso" si legge sui manifesti del flashmob, "Sii uomo: combatti contro la violenza". Sembra assurdo che una mobilitazione maschile contro i femminicidi faccia notizia, eppure a quanto pare c'è ancora chi lo vede come un problema principalmente femminile. Ma è difficile che "il problema" sia la vittima, più probabile invece che si debba agire sui carnefici. Purtroppo sarà solo quando anche gli uomini si uniranno a questa battaglia che davvero potremo pensare di vincerla: servono più manifestazioni come questa, ma soprattutto serve cambiare la cultura e l'educazione maschile. Non basta scendere in piazza a protestare, bisogna far sentire la propria voce in famiglia educando fratelli e sorelle in modo paritario, nei gruppi Whatsapp di calcetto quando qualcuno condivide del materiale intimo senza il consenso della diretta interessata, in ufficio quando c'è chi commenta il modo di vestire di una collega. Non è solo una questione di proteggere le donne, è molto di più: è costruire una società più sana per tutti.