Se sei una persona bianca puoi protestare a sostegno di Black Lives Matter? Possiamo parlare di uomini femministi? In che veste gli eterosessuali possono partecipare al Pride? Questa domande al giorno d'oggi sono sempre più importanti perché quando si parla di giustizia sociale non si può prescindere da questioni legate al proprio privilegio e posizionamento nella società. È la stessa cosa lottare contro il razzismo se non l'hai mai vissuto sulla tua pelle? La risposta ovviamente è "no", ma questo non significa che non ci sia posto per chi vuole contribuire, anzi. Alla base di tutto questo c'è una parola: "allyship". Ma che cos'è un alleato? Abbiamo provato a dare una risposta qui nel nostro Dizionario dell'Inclusion.

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Allora: un alleato (o alleata o alleat*) è una persona che sceglie di supportare una comunità discriminata pur non facendone parte. Ciò significa che la sua posizione sarà diversa rispetto a chi vive la discriminazione sulla propria pelle e di conseguenza varierà anche il modo in cui si impegnerà nella lotta. Un alleat* solitamente gode di un privilegio rispetto alla comunità che vuole supportare e lo può usare per essere d'aiuto. Ad esempio una persona cisgender e eterosessuale avrà la possibilità di parlare di certi argomenti rischiando meno di chi fa parte della comunità LGBT+, una persona bianca potrà cercare di fare informazione su temi che le persone Nere si trovano a dover spiegare da una vita con tutto il peso che ne deriva, un uomo potrebbe aiutare la causa femminista usando la propria voce in contesti in cui verrebbe maggiormente ascoltata.

Secondo il sociologo Keith Edwards, esistono tre fasi in cui un alleat* si avvicina a una certa causa sociale. La prima è collegata all'interesse personale: gli alleat* iniziano a percepire i problemi delle persone a cui sono legati. In questa fase secondo Edwards il loro impatto è individualistico: percepiscono i problemi della persona a cui vogliono bene, ma non li collocano in un'ottica più ampia e in un sistema più grande e oppressivo. Un esempio di questo comportamento può essere un padre di una ragazza transgender che sostiene i bagni gender neutral nella scuola di sua figlia sulla base del suo amore per lei ma senza desiderio di aiutare le persone transgender in generale. La seconda fase del modello di Edward, invece, è quella dell'alleat* che aspira all'altruismo. Questa è già una fase più sviluppata della prima perché le motivazioni dell'alleat* sono dirette a combattere l'oppressione di un intero gruppo anziché di un solo individuo. Il problema, però, in questa fase è quando l'alleat* tende ad assumere un ruolo da "salvatore" nei confronti di chi viene discriminato appropriandosi delle battaglie altrui e ponendosi al centro dell'attenzione.

La terza fase dell'alleanza, infine, è l'alleat* che combatte per la giustizia sociale. Il principale motore di questa fase è soprattutto il rispetto per coloro che sono oppressi e la voglia di costruire una società più equa. Contrariamente ai due approcci precedenti, gli alleat* nella terza fase sono consapevoli che il gruppo che sostengono è pienamente in grado di portare avanti la loro battaglia, hanno focalizzato il proprio privilegio e intendono usarlo senza mettersi al centro della scena, hanno, insomma, una visione più chiara di come si intersecano i sistemi di oppressione all'interno della società. Diventare dei buoni alleat* è quindi un percorso che passa attraverso l'ascolto di chi è direttamente coinvolto, l'informazione proattiva (le comunità marginalizzate non sono centri informazione per chi non sa nulla dell'argomento) e soprattutto l'azione. Non è facile, ma tirarsi indietro spesso e volentieri significa essere parte del problema.