"Le persone con disabilità chiedono da anni senza alcun risultato maggiore flessibilità sul posto di lavoro", scrive su Refinery29 Ashley Harris Whaley autrice, educatrice e fondatrice della pagina instagram Disability Reframed, "Ma quando la pandemia ha reso il lavoro a distanza e flessibile una necessità per i lavoratori non disabili, i cambiamenti sono stati rapidamente implementati". Si tratta di un dato di fatto che dovrebbe far riflettere a maggior ragione ora che stiamo tutti cercando di capire che nuove forme prenderà il lavoro nel post Covid-19. Torneremo in ufficio? Il lavoro flessibile tornerà a essere un privilegio per pochi e una lotta per molti? Sicuramente, dopo più di un anno di lavoro da casa, non potremo più accettare che le aziende ci dipingano lo smart working come "infattibile". A rischiare di più, però, sono come sempre le frange marginalizzate.

xView full post on X

In Italia sono 1,6 milioni i disabili in età lavorativa, ma di questi il 69% non ha un lavoro. La percentuale delle donne disabili disoccupate, poi, è ancora più alta data la duplice discriminazione di genere e abilista (se non sai cosa vuol dire "abilismo" ce l'ha spiegato qui Sofia Righetti). Con la pandemia la situazione è ulteriormente peggiorata come denuncia su Repubblica Vincenzo Falabella presidente di Fish, Fondazione italiana per il superamento dell’handicap. “Sette lavoratori disabili su dieci si sono sentiti discriminati da quando è scoppiata la pandemia”, racconta. Il lavoro flessibile però, per certi versi ha mostrato come fosse sempre stato possibile venire incontro a chi ha esigenze di lavorare da casa continuativamente o su richiesta. "Ciò consente alle persone disabili di sostenere le famiglie, tornare a scuola o pianificare gli appuntamenti medici necessari in un modo meno compromettente e più accessibile", spiega Harris Whaley, "Inoltre da casa è molto più semplice gestire alcuni aspetti di una disabilità, come la fatica o il dolore cronico".

"Una volta confermato che avevano delle posizioni di lavoro da remoto, ero davvero euforico perché questo significava maggiore accessibilità per me", si legge infatti in una delle testimonianze riportate da Refinery29, "Sono immunocompromesso e ad alto rischio COVID, ma con dolore e stanchezza cronici è sempre difficile andare al lavoro di persona". Naturalmente non bisogna dare per scontato che il lavoro da remoto sia la soluzione adatta a tutte le persone con disabilità, né questo deve diventare un motivo per non rendere i luoghi di lavoro sempre più accessibili. Inoltre anche il lavoro da remoto ha bisogno di diversi accorgimenti di accessibilità digitale come una buona connessione internet, riunioni Zoom con sottotitoli, testo alternativo per descrivere le immagini ed eventuali riepiloghi via e-mail dopo i meeting. Ora, però, sappiamo che venire incontro alle diverse esigenze dei lavoratori non è più quell'impresa impossibile che ci veniva dipinta prima della crisi sanitaria. "La pandemia ha dimostrato che tutti traggono vantaggio dall'avere delle opzioni e c'è sempre un modo per fa sì che il lavoro venga svolto quando serve", spiega l'attrice, content creator e attivista Imani Barbarin. "Le persone disabili", scrive su Refinery29, "sono profondamente preoccupate che tutti i progressi compiuti nell'ultimo anno scompaiano ora che molte persone non disabili stanno uscendo dalla pandemia e 'tornano alla normalità'". "Il problema", conclude, "è che questa 'normalità' non funziona per le persone disabili, né ha mai funzionato". Ora dobbiamo cambiare prospettiva.