Non importa quanto sei famosa, popolare e di successo, c'è una cosa che è sempre estremamente difficile fare: cambiare posizione. Esatto: ritrattare, dire «Ho cambiato idea», «Sono cambiata», è difficilissimo. Non siamo nemmeno preparati a questo tipo di narrazione e forse è per questo che il libro di Emily Ratajkowski, My Body, ci spiazza, perché la modella ripercorre la sua carriera, le sue scelte, le sue posizioni giovanili sull'empowerment femminile con un'onestà schietta e diretta e ci dice «Io sono in evoluzione. Il mio femminismo è in evoluzione». Non ci dà risposte, ma solo nuovi modi di guardare alle stesse cose. «Ho un seguito di milioni di persone e, tra pubblicità e campagne, ho guadagnato più di quanto mia madre, professoressa di inglese, e mio padre, insegnante di disegno, potessero sognare in una vita» spiega Emrata intervistata dal Corriere della Sera, «Ma la verità è che mi sono sentita sfruttata e sminuita. Nei giorni buoni, quando mi sentivo giudicata solo come un bel sedere, riuscivo a liquidare quegli sguardi come sessisti. Nei giorni bui, detestavo me stessa e ogni decisione presa mi sembrava un errore clamoroso».

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Nel libro Ratajkowski parla di corpo e relazioni di potere partendo dalla sua esperienza come modella, ma ampliando il discoro a tutte le donne. «Ho ricevuto messaggi contraddittori sul mio corpo» dice al Corriere, «Mia madre mi diceva: vestiti come ti pare, fregatene di cosa pensa la gente. Quando avevo 13 anni, mi comprò un abito per il ballo della scuola. Era azzurro, aderente, le chiesi: non è troppo sexy? E lei: no, sei stupenda. Invece gli insegnanti lo giudicarono scandaloso e mi cacciarono dal ballo. Mia madre mi trovò in lacrime, umiliata e confusa». È iniziato tutto così, da quel senso di «vergogna per le reazioni che suscitava il mio fisico», da lì Ratajkowski racconta di aver sviluppato un senso di sfida: «Nessuno poteva dirmi cosa potevo fare e cosa no. Quando ho iniziato a fare la modella, a guadagnare con la mia bellezza, mi sembrava una forma di empowerment, ma naturalmente la situazione era più complessa di come pensavo».

Ed è proprio in questo che Emrata riesce nell'arduo compito di mettere in dubbio le sue posizioni: torna indietro, si fa delle domande, non necessariamente per ottenere delle risposte, ma per guardare in faccia la realtà e i giochi di potere che condizionano le donne e i loro corpi. «A vent’anni, non capivo che le donne che traggono potere dalla bellezza devono quel potere agli uomini di cui suscitano il desiderio» continua la modella, «Sono loro a esercitare il controllo, non noi. Oggi mi chiedo: ho autonomia, ma posso chiamarla emancipazione? Se ripenso ad alcuni episodi, provo vergogna per come mi è capitato di presentarmi, pensavo di essere provocatoria verso il sistema, ma non comprendevo appieno le dinamiche di potere. Però non ho rimpianti, devo fare qualche concessione alla ragazzina che ero».

In My Body Ratajkowski ripercorre episodi di violenza: aggressioni da parte dei fotografi, relazioni abusive, molestie da parte di persone con più potere di lei come Robin Thicke durante le riprese del video di Blurred Lines. Rimangono tanti interrogativi e contraddizioni e forse la parte più difficile è proprio accettarle. «Non direi mai a una giovane di non intraprendere la carriera da modella», conclude Ratajkowski, «Ho scritto questo libro per portare una testimonianza, non una soluzione. Purtroppo».