Solo poche ore fa era nello studio di Amici a giocarsi la finale, circondata da applausi e striscioni fatti con pennarelli colorati. Ma quando ci incontriamo in un celebre studio di registrazione di Milano, Angelina Mango non mostra nessun segno di stanchezza. Anzi. Al posto del “jet lag” da post talent ha solo una gran voglia di raccontarsi. Sarà che questo mestiere l’ha contemplato da sempre. Ne ha ammirato glorie e rinunce, guardando l’esempio dei suoi genitori Pino Mango (artista caposaldo della musica italiana, scomparso nel 2014) e Laura Valente (ex voce dei Matia Bazar). Ma ora la sua musica ha trovato un nuovo avvio. Ora Angelina Mango ha un pubblico che la aspetta. Che nelle sue parole ricerca conforto e forza.

Il prossimo 19 maggio uscirà il suo nuovo disco Voglia di vivere (21co/LaTarma Records). E in questa sua voglia di prendersi tutto Angelina Mango fa spazio a un sacco di cose. C’è il ricordo dell’infanzia nella casa di Lagonegro, paesino della Basilicata dove la montagna e il mare si rendono scudo e orizzonte. Ma c’è anche la consapevolezza di essere una donna coraggiosa, che ora ha intenzione di «guardare soprattutto le cose belle e pure». Perché sì, ci vuole coraggio per farlo. Ma è giunto il momento di rischiare questa felicità.

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Angelina è il volto della cover Extra di Cosmopolitan. Foto di Andrea Biancher, styling di Susanna Ausoni. Artwork di Sara Guidi

Com’eri da piccola?

«Ero una bambina felice. Molto felice. Ero sempre al centro dell’attenzione. E se non mi guardavano, costringevo tutti a farlo. Passavo le mie giornate a pensare a come intrattenere la mia famiglia, tra balletti e canzoni. E poi mi facevo i miei “viaggioni”».

Cioè?

«Dentro al mondo vedevo altre realtà che volevo metterci io. Realtà più fatate. È una cosa bella, la fantasia. Bisognerebbe coltivarla anche da adulti».

Hai detto che quando scrivi senti molto la Basilicata.

«Sì, è una terra profonda. Nel bene e nel male. È una terra che si fa sentire quando ci vivi, quando la lasci, quando ci torni. E questa verticalità della Basilicata, così capace di entrare nelle cose in maniera così schietta, mi è rimasta molto nella mentalità. Mi aiuta a entrare dritta nelle cose, piuttosto che a passarci accanto».

C’è un luogo in particolare a cui sei legata?

«La mia città, Lagonegro. È un paesino vicino al mare e alla montagna. È vicino a tutto. E allo stesso tempo lontano da tutto».

Ricordi la prima volta che ti sei innamorata di una canzone?

«Da piccola cantavo sempre “Buonanotte fiorellino” in giro per casa. A sette anni, poi, partecipavo a delle gare di ballo al mare. Tutti portavano “Waka Waka” e io, invece, mi presentavo con “Honky Tonk Women” dei Rolling Stones».

Questi gusti così particolari non ti hanno mai fatta sentire esclusa dai tuoi compagni di classe?

«Un pochino sì. Anzi: più che sentirmi esclusa, facevo fatica a includere altre persone nei miei interessi musicali. Però per fortuna avevo tante altre passioni».

Ad esempio?

«Facevo danza. L’ho fatta per tanti anni. A dirla tutta era quella la mia vera passione. Anche perché la musica c’è sempre stata: era la base. Ma la passione era la danza. Così come anche il disegno».

A dodici anni hai creato una band insieme a tuo fratello.

«Sì, e abbiamo fatto anche un sacco di serate in giro nei locali. Facevamo cover. Mio fratello è batterista e ha sempre avuto dei gruppetti. Avevamo fatto una data sotto il nome di “Black Lake”. Ma non ci piaceva come nome e lo abbiamo subito abbandonato. Alla fine ero io il nome del gruppo».

Se non sbaglio una sera avete anche cantato “Una Rosa Una Rondine Un Cane” dei Matia Bazar…

«E quella sera ho cannato tutto [ride, nda]. Infatti ricordo bene che mia mamma aveva scherzato,“Ma scusa… Per una volta che canti un mio pezzo, sbagli tutto?”».

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Nel 2013 hai registrato una versione di “Get Back” con tuo padre e tuo fratello. Che ricordi hai di quel momento?

«Ho alcuni flash. Ero in salone. È arrivato mio padre chiedendomi se conoscessi quel pezzo. Io non l’avevo mai sentita. Me l’ha fatta ascoltare e l’ho cantata. Era figo. Ci siamo divertiti tanto, anche se lavorare in studio con mio padre e mio fratello aveva creato un insieme notevole di menti precisine [sorride, nda]. Mi dispiace per le altre persone che erano presenti lì, in quel momento».

Hai raccontato che a casa la musica era soprattutto un modo per comunicare tra voi. Me lo spieghi?

«A casa mia c’erano strumenti ovunque. Dopo pranzo io e mio fratello ci mettevamo al pianoforte a suonare qualsiasi cosa. E ci stavamo ore e ore. Oppure sentivamo nostra mamma che suonava, nostro padre che suonava. Era un modo per parlarsi, quello. Capitava spesso di entrare in casa e di non trovare nessuno perché tutti stavano lavorando in cuffia. Poi, però, ci facevamo sentire le cose che avevamo fatto».

Hai studiato al Liceo Scientifico e poi, quando ti sei trasferita a Milano, al Liceo Artistico. Una studentessa modello?

«Ti dico la verità: ero bravissima. Anche se facevo una gran fatica a stare fisicamente a scuola. Sono contenta che sia finita, ecco (ride, ndr)».

E dopo? Che è successo?

«Ho finito il liceo nel 2019 e mi sono iscritta all’università. Lettere Moderne, però non faceva per me. Sono durata un mese. In quel momento avrei voluto iniziare a fare le mie cose e dedicarmi ai miei progetti, anche musicali. Ma si è fermato tutto per via del Covid-19. In quel momento, però, avevo tantissime cose da dire. Le ho scritte tutte ed è arrivato il mio primo Ep Monolocale. È stato importantissimo perché ho capito quanto sia importante essere istintivi nella musica. In quel momento molti volevano che andassi in un talent ma io non volevo».

Perché?

«Avevo paura».

Nel 2021, poi, hai aperto il tour di Giovanni Caccamo. Come vi siete conosciuti?

«Ero a casa e mi sono messa a suonare il pianoforte. C’era anche Giovanni perché era diventato molto amico di mia madre. Lui in quella occasione rimase estasiato. Era distrutto. Da quel momento è diventato una delle persone che più hanno creduto in me».

Un altro artista con cui hai collaborato è stato Tiziano Ferro che ha prodotto la tua canzone “Walkman”. Che esperienza è stata?

«Incredibile. Mi aveva scritto su Instagram dopo l’uscita del mio Ep. Lo aveva sentito e mi aveva detto di mandargli dei provini, se volevo feedback. Io in quel momento stavo scrivendo e gli ho mandato “Walkman”, che aveva una produzione fatta a casa, male. Lui mi ha detto che sarebbe andato in studio con i suoi musicisti, quando ho letto la lista stavo male. E quindi è andato, l’ha suonata con i suoi musicisti e me l’ha mandata. È stato un gesto veramente umano: si è innamorato di una cosa e ci ha messo il cuore».

Qualche tempo fa avevi raccontato che, forse per via di un vissuto complesso, hai l’attitudine ad affrontare con forza le cose negative, e che al contrario ti fanno paura i momenti in cui va tutto bene. È ancora così?

«La verità è che sono cambiata. Non è più vero. Prima di entrare ad “Amici” era così. Adesso mi sono resa conto che non è questo lo scopo di tutto. Lo scopo ora è quello di vedere le cose difficili, perché ci sono, ma di notare soprattutto le cose belle e pure. Ci vuole più coraggio per fare questo».

Sei appena uscita da Amici ma hai già avuto modo di riflettere sulla tua popolarità? Che effetto ti fa essere riconosciuta?

«È strano. Ieri mentre tornavo a Milano mi sono fermata in Autogrill e tutti mi fermavano. Su questo, però, a differenza degli altri miei compagni di viaggio sono un po’ più preparata. L’ho già vissuta questa cosa, anche se non in prima persona. Credo che in questo mio padre mi abbia veramente insegnato tanto. Non possiamo andare con leggerezza all’Ikea la domenica? Ok. Ma bisogna avere tanta gratitudine nei confronti delle persone. È grazie al pubblico se si fa questo lavoro. Se arriva, la popolarità la voglio accogliere così com’è».

Una bellissima cosa che hai detto: "La musica non si fa per sé stessi, ma per gli altri".

«Sì. È un punto importante per me. Molte persone quando fanno musica pensano solo a se stessi. Ma bisogna anche riflettere sul fatto che si fa per poi farla ascoltare alle persone. L’altro giorno, durante la finale di “Amici”, mi è arrivato un bigliettino dal pubblico. L’ho letto solo ieri e ho pianto».

«L'obiettivo ora è quello di vedere le cose difficili, perché ci sono, ma di notare soprattutto le cose belle e pure. Ci vuole più coraggio a fare questo»

Cosa c’era scritto?

«Una ragazza mi ha scritto: “Mi hai salvata. Grazie alla tua esperienza e alle tue fragilità mi sento meglio. Vorrei avere una persona come te nella mia vita”. Questa è tanta roba. Una ragazza di 28 anni, tra l’altro. Quindi più grande di me. La musica si fa per gli altri: è proprio così».

La cosa più bella della quotidianità ad Amici?

«L’adrenalina tutti i giorni. C’era sempre qualcosa da fare ma ti avvisavano sempre solo un minuto prima. Quell’adrenalina lì, da condividere con gli altri, era bella. Certe cose, quando sei da solo, non te le godi nemmeno troppo. Con gli altri, invece, le vivi e te le racconti mentre succedono».

E quella più pesante da sopportare?

«Forse il fatto di non avere mai un momento da sola».

Il rapporto con Maria De Filippi?

«La persona più intelligente che io abbia mai conosciuto. La più sensibile. Lei ti vede e ti capisce. Io mi sono sentita immediatamente capita da lei. Anche quando ci ho parlato la prima volta e le ho confessato che non avevo molta intenzione di partecipare al talent. Lei non avrebbe scommesso nemmeno 5 euro sulla mia riuscita in quel posto: me l’ha confidato. Invece poi ci ha creduto e mi ha aiutata tanto. Mi ha fatto capire che i problemi si affrontano e si risolvono».

Nella canzone “Vita morte e miracoli”, contenuta nel disco, parli di chi ha la mania del controllo e fatica a essere spontaneo di fronte alle cose. È autobiografica, almeno un po’?

«Questa canzone dice tutto quello che io non voglio fare o essere. L’idea, ad esempio, della coppia, secondo la quale tutto è già deciso, come fosse un iter consolidato da replicare, ci conosciamo, ci mettiamo insieme, poi ci sposiamo. No, io non ce la faccio. Sto male. A me piace soffrire per amore».

A proposito, sei fidanzata. Com’è Angelina in amore?

«Sottona. Terribilmente sottona [ride, nda]».

Nel disco regali un’interessante visione della tua generazione. Come la vedi?

«Io credo molto nella libertà della mia generazione. E spero che questa libertà porti a cose belle. Ora tutti alla mia età hanno la possibilità di dire quello che pensano. Secondo me c’è una buona energia. La sento».

Un libro che hai amato alla follia?

«“Il selvaggio” di Guillermo Arriaga».

E il duetto dei tuoi sogni?

«Anderson Paak, sicuramente».