Una vineria di Milano, il sole caldo di ottobre, le chiacchiere attorno a un tavolo in un luogo accogliente che per lei è casa, quando passa da qui. Incontriamo Emma il sabato pomeriggio che precede il lancio del suo nuovo disco Souvenir (Capitol/Universal Musi) che esce il 13 ottobre. Nove tracce, con le già edite "Mezzo Mondo", "Iniziamo dalla fine" e "Taxi Sulla Luna", che suonano in un modo nuovo, a volte più dolce. Canzoni selezionate con cura per raccontare questo ritorno, con l'attenzione di chi ha scelto ogni parola per descrivere il tempo vissuto. Dal dolore, all’amore, alla voglia di tornare a stare bene. Come fosse il primo capitolo di un nuovo viaggio a cui seguirà una seconda parte, lasciando che ogni brano parli per lei.

A quattro anni di distanza dal suo ultimo lavoro, Emma mette in musica tutto quello che è successo, tenendo al centro le relazioni. Da quella con suo padre, mancato a settembre 2o22, nella dolcissima "Intervallo", all’amicizia con Lazza in "Amore cane", al team di autori che hanno dato vita alle canzoni con lei: Paolo Antonacci, Davide Simonetta, Jacopo Ettorre, Nesli... Immagini, colori, emozioni, la voglia di mostrarsi donna forte e fragile, che non ha bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Emma si apre a chi le sta accanto. Nella vita e con il suo pubblico. Da qui infatti l’idea di suonare nei piccoli club, in un tour dal 10 novembre, prodotto da Friends&Partners e Magellano Concerti, per tornare a guardare negli occhi la sua gente e ritrovare l’amore per la musica, come fosse un nuovo inizio.

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Che valore ha questo Souvenir?

«Questo disco rappresenta un approccio nuovo per me. Sono successe tante cose prima di arrivare qui. Il Covid, l’assenza e la lontananza delle persone. Mi sono dedicata ad altro, alla tv, al cinema. Ho girato un documentario. Ho fatto un Sanremo per fare un regalo a mio padre e appena concluso mi sono fermata, per tornare da lui. La situazione poi si è complicata, ma se tornassi indietro lo farei mille volte. Avevo solo due strade quando è mancato, fissare il soffitto o rimettermi al lavoro».

È stato difficile ricominciare?

«Molto. Questo disco è stato scritto in un momento molto difficile della mia vita. Mi sono data anche quando non pensavo di avere più risorse o qualcosa da dire. Ero svuotata, crollata su me stessa. Ricominciare a scrivere con persone meravigliose mi ha aiutato a rifare le fondamenta. Un piano dopo l’altro. è tanto autobiografico».

Che viaggio è?

«Di chi sceglie di ripartire ricominciando da capo. Come se non avessi quasi 14 anni di carriera alle spalle. Mi sono aperta, ho collaborato con altri autori perché ho smesso di vergognarmi. Prima non riuscivo a parlare apertamente di me davanti ad altre persone. Ho scelto di farlo. Per scoprire che è come andare dall’analista gratis, in un flusso di coscienza continuo. Mi sono levata l’armatura. Ho deposto le armi».

Hai dedicato "Intervallo" a tuo papà, una canzone che sa di catarsi.

«Quella canzone racconta in modo molto poetico quella notte, mentre viaggiavo verso di lui che aveva già compiuto il suo viaggio. Io ero ancora a Napoli. E mentre ero in macchina ricordavo tutto. Dal rumore dei suoi passi mi rendevo conto di come stava, se era arzillo o scarico. Ho rielaborato un anno di dolore con questa canzone. A volte mi domando se sia peggio perdere qualcuno improvvisamente o subire un anno di dolore. L'ho visto morire in uno stato di tristezza e affanno. Non mi sono risposta. Ho solo capito che le cose vanno come devono andare. Ma gli abbiamo regalato un anno facendogli capire che poteva stare tranquillo. Ce l’avremmo fatta da soli. Era il suo terrore lasciarci».

Ti sei fatta aiutare?

«Io faccio da sola. So quali sono i miei problemi, i miei traumi, le mie mancanze. Non voglio dire che non siano necessari gli aiuti, anzi. Ma nel mio caso posso contare su una famiglia e mi rendo conto di quanto le radici possano aiutare a stare ferma in un mondo impazzito. Io so dove posso andare quando sto male. Mi sono chiesta se fosse necessario farmi aiutare, per venirne fuori. Ma poi ho pensato a quante persone mi dicono che la mia musica le ha salvate, e allora ho pensato che questa volta potevo salvarmi io».

La cura del dolore è stata la musica?

«Assolutamente».

La tua voce è più dolce.

«Quando combatti le battaglie pesanti non ha senso andare in giro con l’armatura. Mi sono ammorbidita. Il dolore indurisce solitamente e invece questa volta mi ha rigenerata. Mi ha fatto guardare il mondo e il mio lavoro da un altro punto di vista. Mi stavo trascinando pesi che non dovevo più portare. Erano in tutto, nella scrittura, nel modo di gestire gli altri. E così è cambiata anche la mia voce. Ho studiato tanto in questo periodo, anche se sembravo assente, ho ascoltato artisti, ho visto concerti, ho capito dove potevo far avvenire il mio cambiamento. Non è avvenuto per stare dentro al business ma per ricominciare a godere di questo mestiere. Non mi stavo più divertendo. E volevo tornare a divertirmi».

Quindi qual è il Souvenir che porti a casa da questo viaggio?

«Una scatola di cerini. Come quando vai in una bella serata e stai con le persone giuste e porti via i cerini per ricordo. È come se avessi vissuto un anno in una serata con le persone giuste, finalmente».

La ripartenza è anche in amore?

«Sì, parlo di ripartenza anche dal punto di vista affettivo. Ho elaborato la fine di una relazione che non era sana e tutte le canzoni d’amore che ho scritto sono un punto. Sono liberatorie. Mi sento nuovamente bella, senza più farmi sminuire dagli altri sempre. Ho quasi quarant’anni, meglio tardi che mai. "Sentimentale" è il pezzo più femminista, di una donna che prende in mano le redini. Non ci sono canzoni d’amore passive, riparto. Senza tossicità. In chiave molto positiva».

Canti di meritare qualcosa di più. Cosa ti meriti?

«Mi merito un po’ di serenità. Non voglio essere banale, ma non anelo a grandi cose. Ma credo che sia il momento che la vita non mi caghi più il cazzo. E non credo di meritare tutta la cattiveria che mi arriva dai social. Fino a pochissimo tempo fa ho sempre sofferto le critiche, anche se i giudizi peggiori me li sono sempre dati io. Mi piace ascoltare i consigli, ma la cattiveria l’ho sempre sofferta molto. Ogni giorno uno stronzo si sveglia e offende me e il mio lavoro. Senza sapere nulla. Essere trattata così anche dai fan mi ha ferita. Ogni tanto, se mi becco in una giornata fragile, ci resto male ma non ne faccio più una malattia».

Cosa servirebbe per fermare l'odio?

«Regole. I social sono un mondo a parte, se non sei il numero uno non vali, contano i numeri, il fare, fare, fare. Credo ci sia bisogno di imparare a fallire. Ogni tanto fa bene. Sbagliare, scivolare, non essere sempre all’altezza».

I gossip ti danno fastidio?

«È un dato oggettivo che sui social io sia molto seguita e impattante. I siti cercando di accaparrarsi click tirando fuori qualsiasi cosa, anche senza verificare le fonti».

A chi dice che non dovresti cantare con i trapper?

«Tutte le mie battaglie, il mio modo di spendermi per cause non mie credo siano note da 14 anni a questa parte. Lo facevo anche quando non era cool e anzi era pericoloso. Ci metto sempre la faccia. Partendo dal presupposto che non mi sono sposata con Tony Effe e non passerò la vita con lui, quando mi ha proposto la canzone non ci ho trovato nulla di sconveniente. Parla di una realtà oggettiva e reale, le ragazze si divertono allo stesso modo in cui si divertono i ragazzi. Lui arriva da un determinato genere, ma è un giuggiolone. Ho fatto una canzone estiva e leggera per divertirmi, senza dover offendere nessuno. Non credo di dover spiegare le mie battaglie».

Nel disco c’è anche Lazza in "Amore Cane".

«Lazza lo conosco da prima del suo successo. Dopo Sanremo la gente chiedeva un nostro pezzo insieme. Il brano non nasce come feat, ma gli è piaciuto. A Sanremo mi riaccompagnava sempre a casa dopo le prove, l’ha sentita, sono passati mesi e siamo andati in studio da Drillionaire. Mi ha buttata fuori quando ha scritto la sua parte, non ha voluto cantare davanti a me. Immaginatemi fuori dalla porta, mangiata viva dalle zanzare. Per fortuna la nonna di Drillionaire mi ha portato l’Autan e mi ha salvato».

È un momento difficile per le donne del pop?

«Il vento sta cambiando. Sono molto contenta per Annalisa, perché ha imbroccato la strada giusta, è una grandissima cantante, sono contenta per quello che sta succedendo a lei, a Elodie. E quindi viva le donne».

Ora ti vedremo in un tour nei club.

«È successo dopo il concerto del primo maggio, lo sognavo da una vita, da quando la prima volta a 18 anni ho visto il mio primo concerto sottopalco con la mia migliore amica. Facciamo le prove il 30 aprile e mi invitano a una serata di Spaghetti Unplugged. Guardavo questi ragazzi che salivano sul palco e si mettevano in gioco in questo posto molto piccolo. Ho amato quella dimensione e ho realizzato che mi è sempre mancata. Avevo fatto qualche serata nei club con i Miur, ma poca roba. La malattia poi si era messa di mezzo. Mi hanno vista e chiesto di salire sul palco. Mi sono lanciata. Le persone sono abituate a vederti con le transenne da lontano e per quanto puoi fare uno show meraviglioso, con i ballerini, i palchi che si aprono, ho notato che le persone mi guardavano con occhi diversi. Come fossi più vicina di quello che pensano».

Guardi le persone mentre canti?

«Sempre. Riesco a guardare tutti. E li ho visti diversi. E ho pensato che mi servisse quello sguardo per tornare a divertirmi. Senza un grande show, tornare a cantare e basta. Ho chiamato il mio team, ho chiesto di poter presentare il disco così».

Come sarà?

«Presento tutto il disco, con qualche chicca. Sarà ovviamente tutto suonato dal vivo. Sarà un modo per viversi un live a un centimetro di distanza. E sono convinta che mi divertirò tantissimo».