Lo abbiamo visto live il 23 aprile all’Arca di Milano durante la serata organizzata da Spotify per presentare i sei artisti emergenti selezionati per l’edizione del 2024 in Radar, il programma globale nato per supportare gli artisti in una playlist editoriale dedicata. Centomilacarie, all’anagrafe Simone Colamussi, è uno di loro, 20 anni, originario di Varese, cantautore indie che trova nella musica il suo sfogo diventando specchio musicale della sua generazione. Canta brani che danno voce al disagio di ragazzi che vivono la notte, alle relazioni che non sempre finiscono bene, al male che fa l’amore, ma anche il bene che può fare la vita. Il primo a notarlo è stato Mace che lo ha voluto in ben due brani del suo recente disco Maya accanto a Salmo in "Non mi riconosco" e Izi e Geimitaiz in “Meteore”. Lo abbiamo incontrato.

Che effetto ti fa essere tra i nomi di Radar di quest’anno?

«È una bella emozione, mi dà l’occasione di essere notato di più da chi non mi conosce in un momento che è già bello»

Per chi non ti conosce, ci racconti un po’ chi sei?

«Mi sono approcciato alla musica da piccolo, mi nascondevo sotto al pianoforte mentre mio fratello più grande suonava. L’infanzia la lego alla musica. A cinque anni ho suonato un po’ il violino ma è durante il lockdown che ho messo le mani sul piano, ho iniziato a suonare la chitarra e a scrivere e, quasi per gioco, ho iniziato con un gruppo di amici a pubblicare canzoni su Soundcloud».

Per gioco?

«Era puro divertimento, non avevo uno scopo, ho iniziato a mettere anche mie tracce da solo e un giorno mi ha scritto il mio attuale manager».

E Mace come è arrivato?

«Mi ha scritto lui quando è uscita la mia canzone “Dove non posso guardare”. Gli è piaciuta la mia voce, mi ha chiesto di beccarci per registrare qualcosa per il suo album… Ed è nato il brano con Salmo».

Catapultato subito nel mondo dei “grandi”, che effetto fa?

«Provo rispetto. Lavorare con artisti che hanno una lunga carriera, che hanno visioni ampie, mi mette nella posizione di ascoltarli. Sono davvero contento, ma cerco di rimanere con i piedi per terra, non voglio gasarmi troppo, solo continuare a divertirmi e lavorare bene per fare bella musica».

Il gioco però si è trasformato in sogno?

«Sì, mi è sempre piaciuto sognare. Ho i miei problemi, le mie paranoie, ma voglio che questa cosa resti magica».

Problemi e paranoie che rispecchiano le ansie di una generazione, i ventenni stanno da sempre così secondo te?

«Credo di sì, ma credo anche che la nostra generazione soffra i social. Siamo immersi nella tecnologia, guardiamo tantissimi contenuti sui social che ci presentano canoni che non si riescono a rispecchiare. È un continuo svalutarsi. A me è successo, come a tantissimi ragazzi. Quando hai il mondo a portata di mano, veloce, ti svaluti, è un meccanismo naturale. Se ogni tre secondi vedi che in ogni parte del mondo sono tutti belli, tutti bravi, ti consumi.»

L’amore invece come sta?

«L’amore è sempre stato difficile. Non penso solo a quello di coppia, ma all’amore in generale. Spesso non si sente l’esigenza di avere l’amore, ma credo ce ne sia davvero bisogno. E se provi a darlo vieni visto come un coglione. Invece secondo me l’amore è il motore di tutto».

Da quello che canti sembri aver sofferto molto.

«Sì, ma sono anche il primo che ha fatto soffrire, ho fatto soffrire parecchio. È una ruota, ma come tutti, non mi sento speciale».

In “Non mi riconosco” con Salmo canti la ricerca dell’identità. Tu sai chi sei?

«No, sono assolutamente ancora in ricerca. È difficile a qualsiasi età, figuriamoci per me che ho appena iniziato. La strada è ancora lunga, capirò chi sono… E, conoscendomi, mi sa che ci metterò un po’».

Un’ultima curiosità… ma perché Centomilacarie?

«La verità è che è nato totalmente a caso, non ricordo neanche quando. Stavo scegliendo il nickname su Instagram e avevo scritto centomila, ma era già preso, ci ho aggiunto carie perché… mi dava fastidio».