Patrizia Venturelli, AD di Trollbeads, è una delle donne di cui l’Italia dovrebbe andare tanto fiera. Perché è una bella testa, perché è andata via, via dall’Italia, ma tiene ben salde le sue radici qui. La Danimarca è il paese che l’ha praticamente adottata, la Lego le ha aperto le porte del suo mondo fatto di mattoncini, per anni è stata il direttore e il responsabile della ricerca applicata dei trend di consumo. Poi ha ricoperto il ruolo di direttore Innovazione per la Federazione Nazionale Danese del Tessile e della Moda. Subito dopo è stata la volta della casa d’aste Kopenhagen Fur, dove è nominata responsabile dello sviluppo delle strategie di marketing e d’innovazione a livello mondiale. Crea uno spin-off legato alla vendita di accessori di lusso, del quale assume il ruolo di AD e nel 2013 è nominata una dei top 50 Leadership Talents in Danimarca. Il suo impegno civile a favore della comunità italiana in Danimarca le vale la nomina a Cavaliere della Stella d'Italia e nel tempo libero segue progetti a favore dei giovani, come la fondazione di un network per imprenditori nel settore del lifestyle ed il ruolo ufficiale di “Mentor” presso Formland, una delle fiere di design più importanti della Danimarca. Nel 2017 arriva in Trollbeads, entra dalla porta principale, vestendo i panni di CEO e AD.

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In Danimarca sei arrivata per un dottorato in sociologia, eri una ragazzina. Oggi sei una dei top 50 Leadership Talents. Come ci sei riuscita?

“Lavorando duro e con passione. Nella mia vita non mi sono mai risparmiata: ho dato tutto, sempre. E ho cercato di imparare qualcosa di nuovo ogni volta che se n’è presentata la possibilità. Non per ambizione ma per curiosità e per un bisogno innato di fare del mio meglio, anche accettando le sfide che la vita mi ha posto dinnanzi, facendomi coraggio quando una parte di me avrebbe magari optato per scelte più sicure, e tenendo i denti stretti quando le cose non sono andate come avevo sperato”.

A un certo punto sei entrata nell’azienda in cui ogni bambino in vita sua ha sognato di lavorare, la Lego. Cos'hanno di tanto speciale quei mattoncini?

“Lavorare alle LEGO è stata per me una rivelazione. Mi si è aperta la prospettiva su un modo di lavorare completamente diverso. Ho avuto la fortuna di potermi muovere in un contesto internazionale, aperto alla sperimentazione e impegnato in tutti i campi di ricerca, dall’innovazione al management. La Lego è uno degli esempi più belli di lealtà al concetto ed ai valori che un’impresa famigliare può dare. L’imprinting del fondatore è ancora presente: ai bambini bisogna dare il meglio”.

Eri la responsabile della ricerca applicata dei trend di consumo. In pratica cosa facevi?

“Oltre a condurre ricerche sociologiche ed etnografiche, raccoglievo e comunicavo i risultati del lavoro del team di cui facevo parte (scenari e trend) ai vari dipartimenti impegnati nello sviluppo della strategia e del concetto. Praticamente la fase precedente allo sviluppo del prodotto. Ho imparato tanto in quel periodo, anche quanto sia difficile parlare con specialisti formati in diverse scuole di pensiero. Design, business e tecnici raramente condividono un vocabolario. Per farli muovere insieme bisogna aiutarli a capirsi”.

La cosa più divertente che ti è capitata in Lego?

“Vedere giocare tanti adulti e con tanto gusto!”.

Poi sei diventata direttore dell’Innovazione per la Federazione Nazionale Danese del Tessile e della Moda. Perché questo cambio drastico?

“Nella mia vita ho accettato diverse sfide, ovviamente quando mi sembrava che avessero senso. La Federazione mi contattò per le mie competenze nell’ambito dell’innovazione. All’epoca lavoravo già come consulente per alcune delle più grandi aziende danesi in diversi settori. Mi piacque l’idea di poter contribuire con più forza ad assicurare la crescita economica del Paese lavorando dall’interno di un’organizzazione più grande della mia azienda di consulenza, e concentrandomi su pochi settori (il tessile e la moda)”.

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Cos’è la moda per Patrizia? Cosa non manca mai nella tua valigia?

“La moda è uno strumento che ci consente di comunicare chi siamo attraverso un misto di individualità e appartenenza. Scegliendo un designer o un brand invece che un altro indichiamo la nostra appartenenza a un gruppo, a una filosofia, a un modo di pensare e di vedere il mondo. Mettendo insieme elementi presi in prestito da diversi brand, epoche, stili, creiamo quell’unico fantastico che è ogni essere umano. Cosa non manca nella mia valigia? Pantaloni pratici, possibilmente elastici e scarpe comode. Amo la natura e nel poco tempo libero che ho voglio sentirmi libera. Cammino molto, anche 10-12 km alla volta, meglio fuori città o nei centri storici, dove mi perdo ad apprezzare le strutture architettoniche e ad osservare le persone”.

Sei poi diventata direttore commerciale della casa d’aste Kopenhagen Fur. Come si innova commercializzando pellicce?

“Dirigevo il centro di sviluppo Kopenhagen Studio. Al centro lavorano un gruppo di pellicciai insieme a designers di tutto il mondo, ma anche tecnici specializzati, per creare nuovi metodi di lavorazione della pelliccia (dal colore, al taglio, dal modo di cucire, alla combinazione con diversi materiali). Il settore della pellicceria, come altri settori basati sull’artigianato, è profondamente tradizionale. Ma sono possibili moltissime cose quando si lavora mutuando conoscenze da altri settori e da altre parti del mondo”.

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Nel 2013 sei nominata tra le top 50 Leadership Talents in Danimarca. Con chi hai condiviso questa gioia?

“Festeggiai con la mia famiglia, niente di particolare. Contenta, ovviamente, e sorpresa, non ho mai dato troppa importanza a queste cose: le glorie vanno e vengono. È stato un grande onore aver ricevuto un tale riconoscimento nel Paese che mi ha “adottata”.

La comunità italiana in Danimarca ti deve tanto. Non a caso il tuo impegno civile ti ha portato alla nomina di Cavaliere della Stella d’Italia.

“Anche in questo caso ho festeggiato con la mia famiglia e con altri immigrati italiani. Questo riconoscimento vuol dire moltissimo per quelli che come me cercano di mantenere alto il nome dell’Italia al di fuori dei confini del Paese. Non è facile mantenere dei contatti con la nostra cultura e assicurarsi che i nostri figli imparino a portare con orgoglio i geni della loro italianità”.

In Danimarca il mondo del lavoro permette alla donna di esprimere il suo potenziale? In Italia si fa fatica...

“Anche in Danimarca si fa fatica. Non sono tanto le strutture quanto le abitudini e, a volte, i pregiudizi, a rendere difficile la strada. Ma lavorare sodo aiuta e, alla fine, sono i risultati che contano”.

E soprattutto esiste la meritocrazia?

“Direi di sì. Se contribuisci hai i riconoscimenti dovuti. Questo sì”.

Giovani imprenditrici alle prime armi. Consigli?

“Non credere di essere l’unica a pensare: “non ce la faccio”. È così per tutti. Non abbandonare il sogno. Continua a lottare e trovati degli alleati: qualcuno che creda in te con il quale essere sincera, anche nei momenti difficili. Ricorda ogni sera di chiederti: cosa ho imparato oggi? Sia i successi che le cadute ci aiutano: aggiusta il tiro, sempre. Non credere di avere in mano la verità: affronta la vita con umiltà”.

Hai fondato un network per gli imprenditori nel settore del lifestyle. Ci racconti il tuo progetto?

“In Danimarca i giovani vedono l’imprenditoria come una possibile carriera alternativa al lavoro fisso. E ci sono molte offerte pubbliche a sostegno di questa tendenza. Il settore del lifestyle ha delle caratteristiche specifiche che lo differenziano da altri settori e non sono molte le offerte dirette a questo settore. La concorrenza è grande e le chance di successo poche. L’idea del network si basa sul knowledge sharing da imprenditore a imprenditore e sul coinvolgimento di persone con più esperienza in diversi ambiti (vendite, export, social media). L’obiettivo? Ampliare le chance di sopravvivenza e crescita delle piccole aziende”.

Il 2017 è l’anno di Trollbeads. Da dove si inizia a lavorare se si parla di gioielli componibili?

“Si inizia dal bracciale o dalla collana fantasia, da design semplici, composti simmetricamente. Una volta capito il concetto si diventa più coraggiosi. La creatività si allena e le creazioni individuali diventano più belle e colorate. Trollbeads è un’azienda che crede profondamente nella creatività e nel bisogno di ciascuno di esprimersi attraverso gli oggetti che ci circondano. È un istinto che tutti gli esseri umani hanno”.

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Perché scegliere un gioiello componibile?

“Perché non ti stanca. Il gioiello componibile sei tu, oggi. E se domani hai voglia di qualcosa di diverso, lo componi diversamente. Se indossi un altro colore, aggiusti l’accessorio. Se il tuo umore è diverso, adatti il look. Se ti piace raccontare le tue storie, a te stessa o a chi ti circonda, il gioiello componibile è un modo bellissimo di farlo”.

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Dopo Lego, Trollbeads. Ti piacciono le cose componibili?

“Così non l’avevo pensata! Ma forse hai ragione. Mi piacciono le cose che stimolano il mio cervello e le mie capacità creative, le stesse che non mi lasciano passiva ma mi rendono protagonista e mi consentono di utilizzare la mia immaginazione, di giocare e di comunicare”.

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I gioielli componibili in vetro piacciono da sempre. Come fanno a non essere mai fuori moda?

“Il vetro riassume i contrasti della vita e della natura: il caldo della fiamma su cui si foggia e il freddo del materiale finito. La trasparenza e la perfezione della superficie unite all’imperfezione del fatto a mano. E ci affascina la maestria dell’artista che lavora con pazienza, a volte in centinaia di piccoli passi, per creare un’opera d’arte in miniatura”.

Quanta arte c’è dentro un gioiello? Dentro un Trollbeads?

“Tantissima. È forse questo l’elemento che mi ammalia di più. Ogni singolo pezzo è una creazione d’arte. I diversi designers contribuiscono a rendere l’universo Trollbeads immenso e affascinante. I dettagli dei beads sono incredibili, sia da un punto di vista estetico che tecnico. La maestria degli artigiani è un inno alla capacità degli esseri umani di piegare la natura e di creare, con il suo aiuto, qualcosa di completamente nuovo”.

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E come si fa fronte a chi copia?

“Da quando c’è arte c’è copia. La copia è prova del successo. Ma va combattuta quando rischia di distruggere l’originale. Per fortuna esistono regole e meccanismi che aiutano le aziende a difendersi”.

Cosa rende artigianale un prodotto che sembra arrivare da una filiera industriale?

“Non credo che i nostri clienti siano d’accordo sul fatto che il prodotto sembri arrivare da una filiera industriale. Perché non è così. E si vede. I beads sono simili, ma non identici. Cerchiamo di mantenere una certa omogeneità per garantire la vendibilità del prodotto, ma mettendo un bead vicino all’altro si notano le differenze. Per questo i nostri clienti di solito preferiscono scegliere i propri beads fra tanti. Perché l’espressione di uno è diversa da un altro, la dimensione, l’intensità del colore. Per non parlare delle pietre preziose in cui struttura e tonalità sono diversissime”.

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Un beads lavorato a mano può essere in argento, oro, vetro, perla, ambra e pietre preziose e la maglia può essere la tradizionale d’argento o più sportiva e quindi spazio al laccio in cuoio. In Italia cosa si vende di più? E in Danimarca? È cosi diversa la richiesta del mercato?

“Alcuni bead vendono bene universalmente come il Nodo della Fortuna. Ma ci sono differenze significative da Paese a Paese e alcune tendenze cambiano di anno in anno. Perché il gioiello è parte della cultura. In Danimarca, la Stella Polare ha avuto un successo strepitoso. In Italia oltre al Nodo della Fortuna vanno benissimo anche Farfalla Danzante, Eternitá, e Fede, Speranza e Caritá”.

I beads sono più di 500, qual è il tuo preferito?

“Il chicco di caffè in oro è quasi sempre con me. Se c’è una cosa che dopo tanti anni all’estero non è cambiata è la mia passione per il caffè: italiano, corto e cremoso. Un piacere a cui non rinuncio”.