L’era della moda digitale è ufficialmente cominciata. Nell’epoca della couture virtuale, degli NFT e delle sue molteplici connessioni con la realtà, Instagram continua a creare tendenza: perché se da una parte la piattaforma è sempre stata considerata la culla della vita apparentemente perfetta, della superficie patinata e della pelle ultra-ritoccata, è appena diventata la cornice perfetta per la nascita di una nuova estetica. Si chiama meta-selfie, ed è l’ultima ossessione delle it-girl, da Kim Kardashian a Dua Lipa e a Bella Hadid, ma anche delle grandi label e delle icone della Generazione Z.

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Da qualche mese a questa parte basta fare scroll-down per per trovare delle foto nelle foto nel giro di qualche secondo. Inseguendo l’obiettivo di un profilo cool, casual e spontaneo, i trendsetter del nostro tempo hanno cominciato a immortalare il momento stesso dell’auto-scatto. Dall’esterno o nello specchio, il senso del meta-selfie è mostrare il dietro le quinte del feed, dichiarando in automatico di promuovere un racconto autentico, onesto e non-filtrato. E questo è solo il primo indizio che conduce verso un ben più ampio significato.

Esistono molte teorie sulla nascita del selfie. C’è la leggenda della macchina fotografica antidiluviana testata da cinque fotografi baffuti sul tetto di uno studio newyorkese della Fifth Avenue, c’è la storia che vede protagoniste Edwige Belmore e Bianca Jagger con una fotocamera istantanea allo Studio 54 e c’è la cartolina di Madonna sul set di Cercasi Susan disperatamente nel 1984. E anche se Britney Spears e Paris Hilton sostengono di aver avuto per prime l’idea nel 2006, il selfie per come lo conosciamo nasce su MySpace nei primi anni Duemila. Nel 2010, invece, diventa una vera e propria mania condivisa grazie alla fotocamera interna dell’iPhone 4 e a Kim Kardashian – tutto quello che c’è da sapere sull’unica vera Balenci Girl, tra «iper reality», pantaleggings e Kanye West.

Mentre Emily in Paris è rimasta l’unica persona sulla Terra a usare Instagram come nel 2013, quando «selfie» è stata eletta parola dell’anno dall’Oxford English Dictionary, la nuova era della fotocamera interna è stata inaugurata durante la prima ondata della pandemia, con le campagne pubblicitarie home-made e gli editoriali scattati con il cellulare o su FaceTime.

La consapevolezza acquisita durante il lockdown è stata la rottura definitiva con la prima estetica di Instagram: la percezione dell’immagine (specialmente delle donne) è cambiata, in favore di una normalissima e bellissima imperfezione. Con le sue immagini moltiplicate, il meta-selfie diventa una sorta di parodia, di esagerazione di quell’estetica patinata regolata dalla mera vanità alla quale ora si preferisce la verità – che resta comunque, seppur diversamente, un po’ vamp.

Da una parte, la tendenza rappresenta l’ultima pagina della storia che lega moda e surveillance – l’invasione della tecnologia nella nostra vita reinterpretata da una prospettiva estetica, e costituisce la diretta conseguenza della psicopolitica, che regola il potere neoliberale e, in linea con la teoria di Byung-Chul Han, è la crisi della libertà determinata da chi rinuncia consapevolmente alla propria individualità pubblicando a raffica su Instagram in nome della totale connettività. Basta pensare che, nel saggio Psicopolitica. Il neoliberismo e le nuove tecniche del potere, Han paragona lo smartphone al rosario in quanto «oggetto di devozione del digitale» perché «entrambi servono alla sorveglianza del singolo su sé stesso» e che, nei meta-selfie come nelle nostre vite, non esiste niente di più centrale di un iPhone.

Ma il reale potenziale dei meta-selfie risiede nella capacità di puntare una doppia telecamera su sé stessi per esplorare la propria identità, sfidare la narrazione social tradizionale e sfatare i cliché su chi dovreste essere in favore di chi siete veramente. Chi conosce la serie tv e l’omonimo libro di John Berger Ways of Seeing degli anni ’70 lo sa, nella cultura occidentale persiste da sempre una visione patriarcale e iper-oggettivata della figura femminile: se le donne esaminano costantemente il modo in cui vengono viste dagli altri – dagli uomini, è perché la società le induce a considerare per prime sé stesse come se quella fosse la propria funzione principale.

In conclusione, mentre la vicenda di Dua Lipa dimostra che c’è ancora molta strada da fare per insegnare che una donna non deve nulla a chi la guarda e per sradicare la concezione che la riduce a una posa su Instagram, la moda meta-selfie spiana la strada a nuove consapevolezze.