Iniziato lo scorso 23 agosto, il cammino di Archetypes, il primo podcast firmato da Meghan Markle per Spotify, è giunto a compimento con il season finale del 29 novembre. In dodici episodi, che hanno subito uno stop forzato nella programmazione in settembre, nei giorni di lutto per la scomparsa della regina Elisabetta, Meghan, nei panni di host, ha parlato di argomenti variegati, tutti però legati da un fil rouge: il femminismo. Dal dibattito su sesso e libertà aperto con Candace Bushnell alla distruzione del concetto di bimbo con Paris Hilton e di diva con Mariah Carey, la duchessa di Sussex ha guidato gli ascoltatori in un universo in cui stereotipi, etichette, pregiudizi sulle donne non dovrebbero esistere, o almeno, dovrebbero essere opportunamente decostruiti. Per farlo, ha messo insieme un cast interessante - oltre alle ospiti già citate si sono sedute nel suo salotto anche Serena Williams, la sceneggiatrice e attrice indiana Mindy Kaling, Issa Rae - arricchito da uno script, ovvero da un copione, perfettamente tarato sull'esperienza, la competenza vocale e gli interessi della conduttrice.

L'ultimo episodio ha visto come protagonisti, per la prima volta, tre uomini, ovvero Andy Cohen, Trevor Noah e Judd Apatow. Il suggerimento, ha raccontato la stessa Meghan nella puntata, le è arrivato direttamente dal marito Harry, con il quale, a casa, discute spesso «di gender gap e stereotipi». Archetypes si è concluso, dunque, nel pieno compimento dei suoi propositi ma senza la promessa di una seconda stagione o specifiche sul numero di ascolti effettivamente totalizzati. E le polemiche, le recensioni non proprio positive e i dubbi su questo progetto, il primo della duchessa di Sussex dopo la rivoluzione generata dall'uscita dalla famiglia reale e dall'addio al ruolo di senior royals, aleggiano ancora insistenti.

Archetypes: fallimento o successo?

All'indomani della fine della prima stagione del podcast di Meghan Markle, i bilanci non sono proprio positivi. C'è chi parla di fallimento, in termini di ascolti, di un progetto costosissimo (basti pensare ai 32 milioni di dollari che i duchi di Sussex si sono portati a casa per chiudere il progetto quando, nel 2020, hanno firmato il contratto con Spotify). A livello internazionale, fa notare News.com.au, lo show è lentamente scivolato ai piani bassi della classifica dei podcast più ascoltati, episodio dopo episodio, nonostante la massiva campagna pubblicitaria che lo ha anticipato ad agosto, alla vigilia dell'uscita.

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«Il vero problema», ha aggiunto la giornalista Daniela Elser «è che, nonostante gli sforzi, questo podcast è totalmente dimenticabile». All'uscita del primo episodio, il giornalista del Times James Marriot lo aveva definito «assurdo, banale e pieno di luoghi comuni californiani»; sullo Spectator ci si chiedeva: «Com'è possibile che siano servite 28 persone per realizzare il pilota?». La stampa inglese, notoriamente molto dura con i duchi di Sussex, ha invece etichettato il progetto come un perfetto «generatore di titoli» sulla vita privata di Meghan e Harry, considerati i dettagli che, nel racconto della conduttrice, sono venuti fuori nel corso dei 12 episodi.

Ma cosa c'è di vero in questi giudizi così duri? Chi scrive ha ascoltato il podcast di Meghan Markle settimana dopo settimana e può confermare che il prodotto è, in effetti, un bel compitino, svolto secondo i canoni editoriali "richiesti" e popolari del momento. Temi cari a un certo dibattito come quello femminista, insomma, tradotti in termini semplici e di facile comprensione. Basti pensare poi alla sigla scelta per gli opening credits, "I'm a woman" di Emmi Meli, diventata, nel 2021, un vero tormentone su TikTok, per capire quanto la viralità di certi argomenti abbia influenzato il copione di Archetypes. Meghan e il suo gruppo di autori sono stati molto bravi a intercettarli tutti, uno a uno, infarcendo qua e là le puntate con dettagli privati della vita della duchessa per ingolosire l'ascoltatore e tenerlo incatenato: un'ora di puntata in cui si discute di temi anche molto densi come la mistificazione della donna asiatica o di stereotipi legati al concetto di diva sono tanti, troppi, forse, da sostenere anche da parte di chi è fortemente motivato.

C'è però da segnalare una cosa: Meghan Markle non è affatto male nel duolo di host. Non solo sembra perfettamente a suo agio, ma si nota la sua padronanza dei tempi tecnici, il tentativo e lo sforzo di portare avanti un'intervista nel miglior modo possibile pur non essendo una giornalista, di coinvolgere l'intervistato in modo rilassato, in pieno stile "californiano". Se i contenuti del podcast, in effetti, non sono stati in alcun modo divisivi né hanno aggiunto particolare valore al dibattito necessario sul ruolo della donna nella società, sarebbe meschino non segnalare l'impegno di Meghan, che davanti a un microfono ha riacquistato alcuni tasselli della sua natura di performer, perduti per forza di cose durante la sua esperienza nella famiglia reale.