Harvey Weinstein, colui che una volta era l’uomo più potente di Hollywood, ieri è stato ritenuto colpevole dalla corte di Los Angeles per altri tre reati: uno stupro e due aggressioni sessuali. Il produttore - campione di nomination, 330, e di Oscar, 81 - tre anni fa era già stato condannato a New York per violenza sessuale. Sta scontando 23 anni di carcere, e a questi se ne potrebbero aggiungere altri 24 con la nuova condanna.

La reazione di Asia Argento, tra le prime attrici ad aver denunciato pubblicamente di aver subìto molestie, è in un lungo post Instagram in cui parla di victim blaming, ma anche di sorellanza, forza, liberazione, e giustizia fatta. Finalmente. Era il 2017 e fino ad allora Hollywood e non solo era altra cosa. Poi Asia Argento e altre donne iniziarono a parlare, articoli su articoli, inchieste, poi diventate premio Pulitzer e ora anche un film. Il movimento Me Too divenne pian piano un'onda, e il consenso (finalmente) questione fondamentale nel mondo dello spettacolo ma anche fuori.

«Quando nel 2017, dopo che io ed altre donne liberammo la parola rendendo pubbliche le violenze sessuali subite da Harvey Weinstein e ci fu un vero e proprio tsunami mediatico, subii da parte dei media e degli haters quello che viene chiamato “victim blaming”. Vennero dette pubblicamente frasi come “se l’era cercata, poteva dire no, l’ha fatto per farsi pubblicità”», scrive ora Asia, «perché la colpa del predatore in qualche strana maniera ricade sempre sulla donna, sulla vittima, anche se detesto questa parola. La vittima di stupro, di molestie, viene sempre, prima di tutto, giudicata. Prima ancora dello stupratore».

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E purtroppo, continua l'attrice, anche la vittima per prima cosa interroga se stessa: «Questo dovrebbe farci capire com’è tutt’ora montata la nostra società. Anch’io mi chiesi come mai non fossi riuscita a scappare, perché non gli avessi dato un calcio nelle palle come mi aveva insegnato mia madre, perché non avessi urlato e chiamato le forze dell’ordine. M’incolpavo dicendomi che davo troppa confidenza agli uomini. O che forse era colpa dei ruoli che interpretavo, le pose sexy sulle copertine dei giornali. Se qualcosa di irrisolto dentro di me non mi aveva mai permesso di amarmi completamente, dopo essere stata violentata iniziai a disprezzarmi. Continuavo a ripetermi che ero una puttana e che me l’ero cercata. Non riuscivo a fuggire da questi pensieri. Allora ero ventenne, non avevo gli strumenti per capire cosa mi era successo».

La consapevolezza è arrivata dopo: «Ci sono volute due decadi e 16 anni di analisi per liberarmi di questo critico interiore in primis, e per imparare a farmi scivolare le insinuazioni dei detrattori poi, che facevano ancora più male perché ero stata io la prima a incolparmi. Ieri Weinstein è stato condannato (dopo la sentenza di 23 anni a New York) a Los Angeles per stupro e violenze sessuali, potrebbe scontare 47 anni in carcere. Quarantasette anni è la mia età. Oggi sono una donna serena, una sopravvissuta, amo la vita, amo me stessa, ho trasformato il veleno in medicina, e so che la mia esperienza ha aiutato innumerevoli donne in tutto il mondo ad uscire dallo stigma delle violenze sessuali, a liberarsi di questo enorme fardello. E per questo sono e sarò sempre eternamente grata».