Una relazione può finire perché consideriamo l'altro "troppo perfetto"? Stando al racconto di Caroline Celico, modella ed ex moglie dell'ex calciatore brasiliano Kaká, la troppa perfezione stroppia. Tanto da far scoppiare un matrimonio solido e una delle relazioni più ammirate del mondo del calcio internazionale. A distanza di quasi 9 anni dal divorzio - sono stati sposati dal 2005 al 2015, insieme hanno avuto due figli - la modella è tornata a parlare col The Sun di quella storia. E ha confessato: «Lui non mi ha mai tradita, mi trattava bene, mi ha dato una splendida famiglia. Ma io non ero felice, mancava qualcosa. Lui era troppo perfetto per me». Il dibattito è aperto: d'altronde se su Google digitiamo la chiave di ricerca "Perché non mi piacciono i bravi ragazzi?' vengono fuori centinaia di risultati che rimandano a loro volta ad analisi, risposte più o meno compiute, ulteriori quesiti sul tema. Il nodo della questione è antico come l'amore: perché per tante persone avere un partner non tossico, amorevole e «perfetto» non è un incentivo per la felicità ma la tomba del sentimento?

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Certo potremmo imputare la colpa al fascino del bad boy, passione alimentata da decenni di esposizione a film e serie tv che hanno romanticizzato l'idea che farsi trattare male da un partner tossico fosse stimolante e non provante (a volte addirittura abusante). Ma se fosse, invece, la sindrome dell'impostore a influire a volte anche sull'universo delle relazioni e non solo in ambito professionale? Avere accanto una persona che si considera troppo perfetta - un giudizio soggettivo e relativo, ovviamente, non assoluto - può essere fonte di benessere ma anche di frustrazione: non sentirsi all'altezza, anche se si tratta di una sensazione e non di un dato di fatto oggettivo, può davvero portare a chiudere una storia. E ad ammettere che sì, a volte troppa perfezione spaventa perché crediamo e abbiamo paura di non meritarcela.