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Parliamo spesso di grandi donne con grandi idee. È il caso di Giulia Staccioli, sportiva, atleta olimpica, ballerina, coreografa, oggi anima di Kataklò Athletic Dance Theatre, compagnia indipendente, capace di sfornare atleti e danzatori di fama internazionale. Sua la cattedra di Danza Moderna all’Università di Scienze Motorie di Milano e sua la maternità di KAB, metodo di studio capace di coniugare le basi tradizionali dello studio della danza classica alla “sbarra”, alla preparazione fisica e al potenziamento del ginnasta/acrobata. Siamo andate a trovarla nella sua Accademia.

Chi è Giulia Staccioli?

“Un ex atleta, ginnasta ritmica della nazionale italiana per tanti anni. Ho conseguito importanti successi personali, titoli italiani, Olimpiadi, Mondiali: ero una di quelle bravine. Mio padre era un artista, scultore, sin da piccola mangiavo sport e pane, poi i miei interessi sono confluiti nella danza, prima come ballerina e poi come coreografa. Il passo successivo è stato fondare la compagnia Kataklò”.

Il tuo incontro con la danza fu casuale. Funziona come in amore?

“Quello per la danza è stato un grandissimo amore sbocciato da piccola, avevo 4 anni. Non ho studiato danza da subito, ero orientata allo sport ma poi sono tornata al mio grande e vero amore, avevo 24 anni, ero già matura ed ero reduce dall’Olimpiade di Seoul nella quale raggiunsi la finale”.

Due volte finalista Olimpica (Los Angeles ‘84 e Seoul ‘88). Cosa resta di quella giovanissima Giulia?

“La ginnastica è uno sport che fai in giovane età, sviluppi delle coordinazioni, delle impostazioni che si esauriscono presto. Per la media italiana durò tanto la mia carriera agonistica. Dopo aver passato gran parte della mia vita ad allenarmi mi sembrava un peccato buttar via tutto, volevo essere protagonista con il mio corpo e mi ritrovai in una strada parallela, forte delle competenze che avevo acquisito in ambito sportivo”.

Kataklò nasce nella tua testa mentre vivevi a New York. Cosa rende speciale la tua compagnia?

“Lo spirito. Volevo creare una compagnia che fosse il collegamento, il ponte, tra lo sport e l’arte. Ho fatto in modo di sviluppare gli aspetti che legano i due mondi: dallo sport prendo la parte energetica, intensa, la sfida e dall’arte arrivano i contenuti più profondi e carichi di significato. Sono due mondi con forti pregiudizi l’uno verso l’altro, non è stato facile ma li ho sempre rispettati entrambi. Dare un significato ad un gesto vuol dire spostarsi dall’obbiettivo agonistico a quello artistico. I miei allievi sono sia atleti che danzatori”.

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I tuoi allievi in che percentuale sono ragazze?

“Nella danza la presenza delle donne è di solito superiore ma noi siamo un’anomalia e le percentuali quasi si equivalgono: uomini 40%, donne 60%. Il corso di formazione professionale dura un triennio e si studiano materie atletiche, acrobatiche, danza aerea, allenamento funzionale, corpo a corpo ma anche discipline che nascono dalla danza, come la danza classica, contemporanea. C’è poi una parte dedicata alle materie teoriche, dall’analisi coreografica, alla storia del teatro”.

Il linguaggio corporeo come si decifra?

“È il grande dilemma della danza. Parlare con il corpo non è semplice. Arrivando dal mondo dello sport lavoro tanto sul linguaggio del corpo potendomi appoggiare su tecniche diverse, gesti forti, intensi. So di poter usare un linguaggio diretto. La parte fisica va sviluppata di pari passo con la parte interpretativa, lavorando per affinare l’intensità di un movimento. In questo caso si lavora per immagini ma è importante passare dal concettuale al fisico per rendere fruibile il mio tipo di danza. Ho scelto di educare per portare la danza al pubblico, un pubblico numeroso capace di appassionarsi anche alla bellezza del teatro. Ci sono diversi tipi di lettura in uno spettacolo, il primo deve arrivare direttamente”.

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Alle Olimpiadi ci sei tornata nei panni della coreografa. Hai progettato l’imponente struttura dei cinque cerchi, icona dei Giochi e omaggio allo Spirito Olimpico per Torino ‘06. Da dove hai iniziato a lavorare?

“Sviluppo a livello di pensiero una immagine nella testa alla quale poi faccio prendere forma a livello strutturale e coreografico. A Torino fui chiamata anche perché ero un atleta che alle Olimpiadi c’era arrivata più di una volta. Mi chiesero tante cose, anche come un atleta vive quella cerimonia e sapevo di dover dare un contribuito usando i miei occhi da atleta. Quel tipo di cerimonia è fatto di segmenti, di protocolli internazionali da rispettare, mi inventai la mega struttura dei 5 cerchi, una coreografia di massa molto grossa nella quale man mano diminuivano le persone coinvolte, a significare che chi raggiunge e vince un’Olimpiade sono veramente in pochi ma dietro di loro c’è un movimento importante e necessario affinché quel percorso arrivi a compimento. Un’immagine forte come il significato che voleva far passare”.

Sei titolare alla facoltà di Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Milano, della cattedra di Danza Moderna. Sembri nata per insegnare.

“Tempo fa mi definirono “apprendista maestro”. Sono per natura molto curiosa, amo mettermi alla prova, rischiare ma non voglio tenere per me quello che conosco anche se questo a livello coreografico non è sempre positivo, rischi che le tue idee siano prese da altri. Resta inteso che tutto quello che so lo devo a ciò che altre persone mi hanno dato o condiviso e io voglio fare altrettanto, voglio essere d’aiuto”.

I ragazzi oggi, sono cambiati nell’approccio al mondo della danza? C’è più approssimazione?

“Guardo i giovani non da giovane e faccio fatica, lo ammetto. I miei coetanei, chi da giovane ha fatto, con determinazione, scelte alternative come le mie, legandosi anche al mondo dell’arte nonostante non desse sicurezze, continuano a rischiare, a investire tempo ed energie in cose bellissime… energie che spesso fatico a vedere nei giovani. Vogliono sicurezze sin da subito, faticano a investire energie in quello che credono, sono spaventati e allo stesso tempo desiderosi di arrivare e mettersi tranquilli. Dobbiamo essere bravi noi a dar loro degli strumenti per capire tutto ciò ma loro devono smetterla di avere paura dei tempi lunghi perché alle volte sono necessari a far maturare i frutti migliori”.

Cosa ne pensi dei talent? Aiutano o sono solo un fuoco di paglia?

“Amplificano quello che ho appena detto, danno la sensazione che essere famoso debba essere l’obiettivo e di conseguenza se fai un talent sai che lo diventi in breve tempo quando invece occorre credere in quello che si fa e costruire il proprio futuro giorno per giorno, solo così ne verrà fuori un mestiere. Nel caso dei talent l’obiettivo diventa entrare in quegli scatoloni che ti fanno finire sotto la lente di ingrandimento. Hanno aumentato in modo esponenziale il numero di iscritti alle scuole di danza, alle Accademie ma chi si iscrive senza sapere a cosa va incontro si perde per strada perché vede che le cose non succedono come in tv, con quei tempi e spesso gli obiettivi che hanno in testa sono anche impossibili da raggiungere. Ho lavorato con ragazzi usciti dai talent, sensibili, intelligenti che però si sono dovuti ricostruire. Ricordate l’effetto youtube? Non basta un video furbetto, usare tutti i social del momento, non basta essere furbi”.

Per fare quello che fai serve tanta preparazione atletica. Com’è la tua dieta?

“Ho avuto una adolescenza segnata dalle diete come ginnasta, le richieste fisiche sono alte, vicine a quelle di una ballerina classica, chiaramente in base alle specializzazioni cambiano le richieste anche estetiche. Il tipo di figura professionale che formo, cerco e con la quale lavoro deve essere energeticamente apposto e sana con una fisicità costruita dal lavoro in palestra, in sala e da una grande attenzione al regime alimentare. Occorre imparare a comprendere cosa ad ogni singolo individuo è utile e cosa non lo è, questo per inserire la giusta benzina. Ascoltate il vostro corpo ricordando che avere una impostazione sana non vuol dire parlare solo di cibo ma della gestione della vita, vuol dire evitare grandi eccessi, sgarrare può starci ma se sei stressato il corpo ne risente ed è più incline anche agli infortuni”.

Improvvisazione e sperimentazione: in che percentuale fanno parte del tuo lavoro?

“Altissima. Voglio che ogni creazione abbia dentro ricerca, coreografia, con un indirizzo fisico ma anche poetico. Voglio che quei ragazzi siano in grado di sviluppare i loro strumenti creativi per mettersi in gioco altrimenti ci si limita a fare ctrlC / ctrlV. Chi lavora con me sperimenta ricerca dal primo giorno”.

Potenza e armonia in una performance come si coniugano?

“Ci lavoro da anni a questo aspetto. Il gesto atletico affascina ma ha un limite dal punto di vista espressivo, un ginnasta a livello di muscolatura è intenso, potente ma è chiuso dentro cliché. Occorre armonizzare il corpo, usare i muscoli, alternando contrazione e decontrazione, solo così il gesto potente non sarà solo più rigido e strutturato ma risulterà armonico. Per chi arriva dalla ginnastica la difficoltà maggiore è mentale”.

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Tra un atleta e un danzatore che differenza c’è?

“Altra domanda che mi faccio tutti i giorni. Hanno tanti punti di contatto. Al danzatore manca l’energia, la forza, l’impulso dinamico che è proprio del ginnasta, esplosivo, vivace per definizione mentre il ballerino ha l’espressività e una tabella colori più ampia anche se più delicata. Il ginnasta ha pochi colori ma forti e intensi”.

KAB è il tuo rivoluzionario training di allenamento. In pratica cosa è?

“Tutto quello che abbiamo detto fino a questo momento. Un metodo di allenamento e di formazione continua che ti permette di lavorare sui due aspetti, sulla gentilezza del gesto e sulla dinamica dello stesso gesto. È la sintesi di 35 anni di lavoro, vissuti in prima persona a cavallo tra i due mondi. Un metodo declinato su diversi livelli, adatto per i danzatori professionisti con competenze ibride ma anche per chi non arriva dalla danza e dalla ginnastica ma cerca una declinazione fitness, semplice ma efficace per rimodellare il corpo. Bolle ha imparato a stare alla sbarra che aveva 5 anni e continua a studiare alla sbarra: imposti il lavoro e lo porti avanti tutti i giorni della tua vita, questo è KAB”.