In un articolo del New York Times è comparso un tema illuminante e allo stesso tempo preoccupante, non a caso in concomitanza con l'esplosione della variante Omicron di Sars-Cov2 in tutto il mondo. Il tema è il "worry burnout", un termine coniato dagli specialisti per identificare la sensazione di spossatezza mentale, angoscia perenne e incertezza estrema in cui viviamo ormai da due anni, acuita in queste ultime settimane. Due anni (quasi: concediamocelo, per quel che serve) in cui abbiamo rivisto piani, abitudini e stili di vita; abbracciato le parole della scienza affidandoci ai vaccini; tenuto a distanza persone care; limitato i contatti; perso il lavoro; perso amici e parenti. C'è chi, sotto il peso di questo periodo, ha ceduto: i numeri su depressione e suicidi, le richieste a professionisti e psicologi, persino i reparti di neuropsichiatria in emergenza per i grossi numeri di pazienti sotto i 18 anni da accogliere (un allarme lanciato dall'Ospedale Meyer di Firenze, riportato da Repubblica) sono specchio di questo worry burnout.

Ma cos'è esattamente il burnout pandemico che, nuovamente, sta travolgendo come un'ondata la popolazione in ogni angolo del globo? Al New York Times, Thea Gallagher, psicologa clinica e professore della N.Y.U Langone Health ha detto che, esattamente come lo stress da lavoro, questa particolare variante (mai termine fu più azzeccato) di burnout è legato alla quantità di traumi, incertezze e stanchezza psicologica che riusciamo a sopportare. Nel momento di equilibrio massimo - dato anche dai vaccini, da due dosi che sembravano doverci trasformare in esseri invincibili e traghettarci fuori dalla pandemia - abbiamo dovuto nuovamente lasciare la sensazione di stabilità duramente conquistata. Tutto nel giro di poche settimane. Quando vive un trauma, ha detto la dottoressa, l'essere umano tende a trovare un perno sul quale costruire nuovi principi di adattamento, nuove ancore cui aggrapparsi. Si tratta di un meccanismo di difesa che ci ha salvati fino a oggi. Ma può bastare per sempre?

C'è una misura, oltre la quale la mente umana non riesce ad andare. Quando è colma, straripa. Esattamente come succede in un posto di lavoro stressante, così accade in pandemia rispetto alla vita stessa. Così sta accadendo in questi giorni, in queste ore, prima e dopo questo tragico Natale.

Mentre prima avevamo la sensazione di essere fermi da mesi senza prospettive, il 2021 ci ha regalato la sensazione di poter tutto sommato vivere una vita normale. Non come prima, ma quanto più simile a ciò che era. Il ritorno alla paura, la corsa ai tamponi nelle principali città italiane e del mondo raccontate dai giornali in questi giorni, l'ansia del contatto con un positivo, le quarantene, le feste vissute in solitudine hanno riempito la nostra capacità di sopportare la situazione fino all'orlo?

Di questo parla l'articolo del New York Times, che, come a già aveva fatto per la Pandemic Fatigue, si è avvalso di esperti e ricerche per esplorare questo nuovo stato mentale collettivo e globale che ci ha investiti tutti.

Difficile tirare le somme, visto che ci troviamo in un'ondata in cui è impossibile vedere oltre il proprio naso con lucidità. Frustrazione, ansia, paura, tristezza sono emozioni normali e condivisibili, da accogliere e non da respingere. Ci meritiamo un momento di indulgenza rispetto alla nostra capacità di sopportare le avversità che ci propone la vita; e ci meritiamo anche un pizzico di autocommiserazione, se questo può far star meglio, un sano attimo di "Perché proprio a me". La mente troverà la sua strada per rimettersi in sesto: così dicono le ricerche psicologiche sulla capacità di adattamento a traumi e stress di cui l'essere umano, è portatore sano.

Ci sarà tempo per rimettersi insieme. Per ricostruire pezzi e parti andate perdute in questi tempi bui. Per chiunque non riesca a farlo da solo, per chiunque pensi di aver bisogno di aiuto, qui ci sono numeri e app da scaricare per trovare supporto e conforto con esperti psicoterapeuti e psicologi.

Headshot of Giovanna Gallo
Giovanna Gallo

Da un decennio, per lavoro, scrivo di famiglie reali, psicologia, attualità e cultura pop, oscillando tra il web e la carta stampata. Il destino vuole che la mia professione coincida con una passione, quella per il giornalismo di costume, nata quando avevo sei anni, che male non fa. Quando non scrivo chiacchiero molto, guardo serie tv, mi sposto tra la Calabria (dove sono nata) e Torino (dove vivo) e ripenso nostalgica agli anni Novanta.