Una nuova ricerca dell'organizzazione britannica City & Guilds ha rilevato che il 10% dei giovani che non sono ancora entrati nel mondo del lavoro sostiene che non lo farà mai. Che sta succedendo? I segnali non sono buoni ma il trend è chiaro: c'è un problema con il mondo del lavoro. Non solo perché entrarci è sempre più difficile, tra stage sottopagati e contratti precari prorogati all'infinito ma anche perché, una volta dentro, le soddisfazioni sono poche, al punto che le nuove generazioni si chiedono se ne valga davvero la pena.

Con il downshifting, il quiet quitting e il rifiuto di salari inadeguati i giovani si stanno opponendo a un sistema consolidato. Di contro si sentono dipingere come picky, viziati e poco disposti alla "gavetta". Chi, nelle generazioni precedenti ricorda la voglia di fare carriera non tiene conto delle circostanza attuali. «Il contratto sociale si sta rompendo. Non funziona», ha commentato lo scrittore James Ball in un episodio del podcast New Statesman, «Il lavoro non paga. Lavori e non puoi avere una casa. Non vediamo un aumento negli stipendi, collettivamente come nazione, dal 2007. Le persone stanno facendo tutto "per bene" e non ottengono gli standard di vita dei loro genitori alla loro età». Anche in Italia dal 2000 al 2017 gli stipendi dei dipendenti sono aumentati in media soltanto di 400 euro all’anno mentre, nel frattempo, si alternano le crisi e salgono i prezzi delle bollette.

Non c'è da stupirsi se fare carriera non è tra le priorità della Generazione Z che riscopre, invece, in valore di tutto il resto. Perché c'è effettivamente un "resto" solo che siamo abituati che il lavoro lo fagociti: dobbiamo essere iper performanti, uscire dall'ufficio per ultimi e dire sempre di sì. La critica della Gen Z va all'idea stessa che tutto ciò che non è lavoro e non porta a profitto e scatti di carriera sia futile e vada relegato a spazi sempre più risicati della nostra settimana. Così, però, si passa da un estremo all'altro perché, a oggi, smettere di lavorare è, al massimo, un'utopia che solo pochi possono permettersi. «Il lavoro non paga, ma non c'è nemmeno una rete di sicurezza per coloro che non possono o non riescono a trovare un impiego», spiega a Dazed Eve Livingston autrice di Make Bosses Pay: Why We Need Unions , «In questo contesto, non c'è da meravigliarsi se molti provano disillusione e apatia nei confronti del lavoro». Il sistema va cambiato perché forse il punto non è che i giovani non vogliono più lavorare, solo non vogliono più farlo a queste condizioni.

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Elisabetta Moro

Nata a Padova, vivo tra Londra e Milano. Dopo la laurea in Giurisprudenza, mi sono specializzata in Studi di Genere con un Master in Women’s Studies nel Regno Unito. Oggi scrivo di attualità, costume e pop culture, focalizzandomi in particolare su tematiche legate al femminismo, alle questioni di genere e ai diritti civili.