Desideriamo tutti che il lavoro agile diventi "smart" per davvero e che apra a tutti i lavoratori che possono farlo la possibilità di prendere un computer e trasferirsi su una spiaggia tropicale a fare esattamente ciò che si faceva in ufficio, ma con uno sfondo diverso. Sappiamo però che lo smart working, che poi tanto intelligente non è almeno nella sua configurazione attuale, è in realtà una modalità lavorativa molto più restrittiva e meno nomade di come vorremmo. Alzarsi dal letto, lavarsi la faccia, farsi un caffè e accendere il pc per le prime riunioni del mattino, questa è la routine di molti lavoratori. Inutile dire quanto questa distanza fisica dal luogo di lavoro ha creato (o peggiorato) divari e incomprensioni tra colleghi, aumentando equivoci e non detti. E le relazioni tra persone che lavorano insieme non ne hanno certo giovato, diventando via via più tossiche

In America li chiamano "frenemies", ovvero nemici-amici. Sono quelle relazioni ambivalenti in cui, per periodi più o meno lunghi si deve andare d'accordo per il bene della squadra, per chiudere un progetto, semplicemente per non farsi il sangue amaro ogni giorno. Sotto sotto però covano rancori e antipatie più o meno malcelate.

Sappiamo già quanto gli amici veri facciano bene a corpo e mente. Di contro, relazioni di questo tipo causano stress, ansie e non pochi riverberi sulla salute. Un discorso che vale sia per i colleghi tossici che per capi invadenti e terribili, come sostiene la ricerca "Why is your boss making you sick?" pubblicata sul Journal of Organisational Behavior. Già, perché il tuo capo ti fa stare così male? E soprattutto, in che termini? Lo studio, portato avanti da un gruppo di ricercatori su gruppi di lavoro più o meno ampi, sostiene che le conseguenze psicologiche dei rapporti tossici sul lavoro, esattamente come quelle legate alle relazioni sentimentali o d'amicizia, non solo durano nel tempo ma hanno anche un impatto incredibile sul corpo e sulla salute in genere.

L'influenza delle relazioni ambivalenti

Secondo diversi studi che sono stati portati avanti negli anni rispetto alle relazioni ambivalenti, appare chiaro che avere (fuori dall'ufficio) molti amici non aiuta a bilanciare la situazione. Insomma, quattro veri amici non scacciano le ombre generate da un solo collega tossico. Interagire con una persona con la quale non solo si va d'accordo ma si creano anche conflitti e momenti di competizione può condurre al burnout o stress da lavoro, a stati di ansia e persistenti e al peggioramento delle condizioni cardiovascolari generali.

Lo smart working, anche se si potrebbe pensare che la distanza allenti le maglie della tensione (d'altronde, come può quel collega farci male se non siamo costretti a vederlo?), ha senz'altro peggiorato questo tipo di relazioni. In primo luogo perché la comunicazione, unica vera arma per uscire da situazioni di stallo, è ovviamente influenzata se non annullata dalle dinamiche virtuali. Smaltire un problema, affrontarlo anche arrivando al conflitto faccia a faccia è una cosa. Ma attribuire stati d'animo e intenzioni a messaggi ricevuti sulle chat aziendali o via mail è tutto un altro discorso.

Secondo gli esperti, i "frenemies" sono tali perché, in certi aspetti della loro vita trovano comunque assonanze. In pratica, se non fossero colleghi, potrebbero tranquillamente essere amici che chiacchierano davanti a un caffè. Paradossalmente è proprio la relazione professionale che li lega a renderli nemici e a tramutare questa possibile relazione equilibrata in una fonte di stress e negatività.

Come fare, quindi, per superare questo gap?

Ci vuole una buona dose di lucidità e buona volontà per riuscirci. Due persone che non vogliono trovarsi a metà strada, non vogliono rinunciare alla propria posizione mettendola in discussione, sentono di essere nel giusto e dunque non voglio rinegoziare i termini della loro relazione difficilmente potranno trasformare il rapporto da ambivalente ad equilibrato. Certo, un capo o un supervisore illuminato che possa fare da scudo diplomatico non sarebbe male. Ma sappiamo che le dinamiche lavorative, soprattutto in contesti sociali come quello in cui siamo immersi in epoca pandemica, possono dirottare l'attenzione di chi dirige un'azienda o un team verso problemi ancora più pressanti.

L'obiettivo è vivere meglio l'esperienza lavorativa ma soprattutto evitare conseguenze a lungo termine sul benessere mentale e sulla salute: anche se può suonare un po' egoista, mettere questa necessità al centro diventa fondamentale. Per lavorare al meglio delle proprie possibilità, non perdere di vista produttività e ambizioni ed evitare di concentrare ogni singolo sforzo e attenzione su una relazione che di certo non ci fa avanzare, né umanamente, né professionalmente.