Il 4 ottobre, su Netflix, arriverà la serie su David Beckham che dovrà raccontare i pensieri, le cadute, le ambizioni di uno dei più grandi campioni del mondo del calcio, svelandone le fragilità e le ambizioni oltre ogni filtro mediatico. La serie si chiama, appunto, Beckham, ed è molto attesa proprio perché offre uno sguardo privilegiato sulla vita del protagonista, una finestra sui suoi pensieri privati che mai era stata spalancata. Accanto a David ci sono sua moglie Victoria, i suoi ex compagni di squadra, i genitori, i manager che negli anni si sono avvicendati nel ruolo di mentori del calciatore. I primi due episodi, che abbiamo visto in anteprima, tratteggiano il volto di un uomo segnato da fallimenti e cadute, da debolezze e scivoloni mediatici: Beckham, in questo senso, è un inno alla fragilità.

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Un frame della serie

Nei primi due episodi (in totale sono quattro della durata di un'ora), David Beckham ripercorre il periodo del suo massimo trionfo professionale e personale, intorno alla fine degli anni Novanta, quello dell'incontro con Victoria Adams che poi sarebbe diventata sua moglie e madre dei suoi figli e dell'ascesa sui campi da calcio. Di quel periodo, però, la serie ci tiene anche a svelare i retroscena più intimi, le emozioni provate dallo sportivo, repentinamente passato dall'essere eroe del calcio a capro espiatorio di ogni sconfitta della sua squadra. Proprio come capitato ad altri grandi campioni anche in epoche recenti (basti pensare alla storia di Matteo Berrettini con Melissa Satta, accusata di distrarlo troppo e di farlo perdere), a lungo si è creduto che la parabola discendente in campo di Beckham fosse dovuta a una cattiva influenza di Victoria. Di quegli anni, David racconta i periodi di profonda depressione, l'angoscia del sentirsi un fallimento, di aver disatteso le speranza dei suoi genitori e dei suoi fan.

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David e Victoria durante i primi tempi della loro relazione

Non solo: nella sua immensa e iper accessoriata cucina, Beckham confessa a regista e produttore della docuserie (il premio Oscar Fisher Stevens e il produttore John Battsek), pur senza usare etichette, di avere una sorta di disturbo ossessivo compulsivo che lo porta a sistemare la casa a qualunque ora, a mettere in ordine, a riposizionare stoviglie e sedie. «Mi tranquillizza», aggiunge sorridendo, mentre la moglie Victoria lo guarda di traverso perché questo suo modo di essere, evidentemente, non è ben visto in famiglia.

Rimane tangibile l'obiettivo della serie, almeno a guardare i primi due episodi: dipingere David Beckham come un uomo onesto e trasparente, capace di godere dei successi ma anche di ammettere cadute e debolezze senza vergogna o senza cancellare quanto è stato. In questo, a prescindere da quali siano gli obiettivi di marketing di Beckham e da quanto siano stati sinceri i protagonisti nello svelarsi, la serie raggiunge l'obiettivo, perché mitizzare i campioni solo per i successi non ha più senso: umanizzarli grazie alla loro vulnerabilità è ciò che li rende più vicini al pubblico e meritevoli di empatia e affetto.