I trend beauty sono parte della quotidianità di molti di noi. Da Cosmopolitan, ne parliamo, ne approfondiamo gli argomenti, le tecniche di trucco o le routine di skincare, proviamo i prodotti che ci vengono raccomandati e, infine, li replichiamo seguendo i tutorial e i consigli condivisi sui social. Dal Latte make-up all'estetica Clean girl, passando dallo Skin flooding al Retinol sandwich, l'algoritmo aggiorna i feed popolandoli costantemente di nuovi contenuti. Ciò che però spesso accade è che nessuno si chiede, mentre ci si imbatte nell'ennesima tendenza e la si porta nella vita di tutti i giorni, cosa ci spinga realmente a farlo.

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Mehmet Hilmi Barcin//Getty Images

Si tratta di un vero interesse? O è solo qualcosa a cui tutti piace e a cui, per trasporto, si finisce per aderire perché è più importante sentirsi parte di qualcosa che rimanerne esclusi? Come ha scritto Dazed in un articolo sul tema, la FOMO (acronimo che sta per «Fear Of Missing Out», «paura di perdersi qualcosa») potrebbe aver superato i confini tra vita offline e online ed essersi convertita in un beauty trend a sé stante. Cosmopolitan ha deciso di approfondire la questione insieme alla psicoterapeuta Martina Ferrari, conosciuta sui social, dove affronta tematiche legate alla psicologia e psicoanalisi, @instasogno.

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Courtesy of Instagram / @instasogno//Instagram

Smarrimento e appartenenza

«Se c'è un trend e la maggior parte dei ragazzi della propria fascia d'età aderiscono a questo trend, partecipare si traduce in una ricerca di appartenenza al gruppo dei propri pari». Tutto inizia da qui: aderire a qualcosa per appartenere a un gruppo e sopperire a una sensazione di solitudine e smarrimento. Soprattutto in una realtà com'è quella di oggi, in cui i bambini di soli 8-9 anni iniziano a fare scroll su TikTok e incappare in video in cui ragazzi poco più grandi si riprendono mentre fanno skincare, consigliano quali prodotti usare o, ancora, ti dicono come truccarti secondo la tendenza del momento. In queste fasi prepuberali, spiega la Dott.ssa Ferrari, entra in gioco il bisogno di differenziarsi da quello che è il nucleo familiare originario, il che si traduce a sua volta in un desiderio ancora più forte di appartenere a un gruppo diverso, composto da coetanei. Si tratta di un meccanismo normale, che tutti viviamo. A cambiare sono i contesti storici e, di conseguenza, i mezzi messi a disposizione ai ragazzi in fase di crescita.

Il confine tra il reale e virtuale è stato ormai superato da tempo, bisogna accettarlo

Oggi sarebbe impossibile negare che viviamo in «un'epoca particolarmente sollecitante, in cui la costante attivazione promossa dai video ha un forte impatto a livello neurofisiologico», ed è per questo fondamentale che, nel caso dei più giovani, siano i genitori a imparare a gestire il flusso di informazioni trovate in rete. E questo non significa impedire di partecipare al trend, ma porre dei limiti che abbiano innanzitutto la proprità alla sicurezza: «Un bambino a 8-9 anni può avere bisogno di una comunissima crema idratante, ma di certo non di un peeling esfoliante. Si tratta di prodotti che non sono adatti a una pelle in via di sviluppo, possono creare delle irritazioni importanti, delle reazioni che possono creare del disagio».

Il trend della girl therapy

«Da un paio di settimane sto seguendo sui social l'hashtag #girltherapy. C'è una marea di contenuti in cui ragazzine e ragazzini si riprendono mostrando la loro beauty station. Non mi era mai capitato di vedere persone di 10 anni avere una loro postazione di bellezza, con prodotti, specchi e luci. In età adolescenziale è normale, ma prima è davvero presto. Al tempo stesso, è anche vero che la skincare è diventata negli ultimi anni una pratica molto più comune: dalle influencer alle mamme, ora è un costume sociale quello di avere una routine per la cura della pelle.

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Per far sì che i propri figli possano non sentirsi esclusi dal gruppo — il che causa autoisolamento e una sensazione di inadeguatezza data proprio dall'esclusione da quello che per i ragazzi è a tutti gli effetti il mondo reale — ma al tempo stesso evitare di impiegare prodotti che possono avere risvolti negativi sulla salute della loro pelle, bisogna accompagnarli in una scelta consapevole. Ad esempio accompagnandoli in farmacia a comprare una crema piuttosto che un detergente viso, oppure rivolgendosi a un dermatologo laddove ci sia una problematica come può essere l'acne».

Il dovere di un genitore quando i figli attraversano la fase della differenziazione è proprio questo: saper mettere dei limiti e riconoscere i campanelli di allarme lì dove si manifestano i primi approcci disfuzionali con il proprio aspetto esteriore. Di per sé, continua la Dott.ssa Ferrari, il fatto stesso di associare questo passaggio di gruppo alla cura della pelle da parte dei ragazzi è rappresentativo di come questa venga a sua volta associata al confine tra il sé e gli altri. «Si prendono cura di sé mentre il sé inizia a emergere, a svilupparsi, a capire come stare nel mondo in un momento molto difficile, caratterizzato dal confronto costante dal corpo al centro, dalla pelle al centro, dalla perfezione al centro. Per questo bisogna adottare un comportamento che sia autorevole, ma non autoritario, dove i confini genitoriali siano chiari ma senza oppressione. Il dialogo deve essere alla base di tutto: chiedere, condividere, informarsi e aiutare laddove necessario a fare una scelta, senza escludere ma dando un'opzione che sia la migliore».

Qualche consiglio pratico

«Non fare gli amici ma comprendere: i genitori devono avere un atteggiamento accogliente nei confronti dei figli. Senza dare per scontato l'acquisto di un prodotto beauty, proporlo magari come premio per un buon voto o un regalo per il compleanno. Oppure condividere la routine di skincare o di make-up come momento intimo e di crescita in cui non rientrano nè il cellulare nè i social. O, ancora, proporre di prendere un eyeliner, un mascara o un lip gloss anche andato virale sui social e di condividerlo. In questo modo si crea un ponte di dialogo che ti permette di crescere con dei limiti positivi e con affetto. Spiegare e parlare con i bambini è molto bello, perché in realtà capiscono e ci insegnano molto di più di quanto ne pensiamo».

E gli adolescenti?

Quando si superano i 10-12 anni, il processo di differenziazione prosegue e a partire da questo momento sottrarsi all'influenza delle mode e dei trend sarebbe ancor più improbabile. Anni dedicati alla sperimentazione, quelli che comprendono la fase adolescenziale coinvolgono attivamente anche i ragazzi che, in prima persona, «devono capire quando la loro attenzione si focalizza eccessivamente su quello che è l'aspetto esteriore, perché quando accade c'è il rischio di ammalarsi e iniziare a soffrire di disturbi dell'immagine corporea, disturbi alimentari o dismorfofobia. Perché anche se viviamo in un mondo dove tutto è filtrato dalla telecamera di un telefonino, gli altri non ti vedono come ti vedi tu nella fotocamera, per come ti sei truccato o vestito, bensì per tutto l'insieme di cose che tu sei, per come ti relazioni agli altri e come ti senti quando sei in compagnia, per i momenti condivisi, per l'autostima sana che si instaura». Uno dei più grandi problemi degli adolescenti d'oggi rigurda proprio l'autostima, puntualizza poi la Dottoressa Ferrari, sottolineando come a vigere è la paura per il giudizio e lo sguardo dell'altro. A causare queste debolezze su un'autostima di per sé fragile perché in evoluzione è proprio il bombardamento di contenuti a cui si ha accesso e che espone al confronto continuo sin da quando si è piccoli.

Viviamo in un capitalismo così espanso da aver mandato a rotoli la nostra salute mentale

«Non sto dicendo che non bisogna prendersi cura di sé o di non comprarsi il lucidalabbra o di non mettersi l'eyeliner o il mascara. Non è quello il punto. Il punto è chiedersi, per esempio, perché si fa una determinata cosa, perché si segue un trend, e non agire in modo automatico per imitazione. Quale sia la risposta definitiva passa poi in secondo piano, la vera cosa importante è porsi la domanda: perché lo faccio, perché mi piace. E se lo faccio perché mi fa sentire più bella o bello, perché voglio esserlo, a cosa mi può servire». Basti pensare al potere che ha un full make-up, spesso usato come schermo con cui nascondersi e raramente come un mezzo con cui valorizzarsi.

Tornare alla soggettificazione

«Qui entra in gioco anche un altro fenomeno, quello dell'auto-oggettificazione. Normalmente, l'autodeterminazione avviene attraverso la soggettificazione, ossia il chiedersi perché si fanno determinate cose, cosa pensiamo ci rappresenti, elaborare le emozioni che si provano. Spesso, però, questo viene meno e ci si valuta in base all'attrattività del proprio aspetto esteriore. Ma noi non siamo un corpo, siamo anche un corpo, siamo un'esperienza di vita».

Si parla poco e si agisce tanto, troppo, soprattutto nello spazio sociale dei social

Ma prendere consapevolezza della propria fragilità è fondamentale. In questo quadro, continua Ferrari, parlare con gli amici, interrogarsi sul perché si fanno queste cose, come fanno sentire, è il modo migliore per guadagnare autostima creando un rapporto sincero con chi ci sta attorno. «Anche la lettura ha un ruolo fondamentale. Quando ero più piccola collezionavo Cosmopolitan, e mi piaceva perché oltre ai consigli di moda e bellezza c'erano delle rubriche dove poter trovare cosigli, condivisione di esperienze, una forma di confronto che mi ha aiutata a entrare in contatto con delle parti di me che da sola non ero riuscita a contattare. Non sottovalutiamo l'importanza che può avere un magazine».



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Alice Nardiotti

Non credo negli astri, eppure sono dannatamente Gemelli. Se chiedete alle amiche, mi definiscono saggia, io preferisco coi piedi per terra. Amo esplorare e viaggiare con le parole, le emozioni e i sensi, per questo scrivo anche di beauty.

Il mio passatempo preferito? Fermarmi a osservare quello che mi circonda e captarne l'essenza.