Allyson Swaby, 27 anni a ottobre, maglia numero 17. Statunitense naturalizzata jamaicana, risponde all'appello di difensore della Nazionale di calcio femminile della Jamaica, la squadra delle Reggae Girlz, quest'anno alla loro seconda qualificazione mondiale. Di casa a Kingston Town, per lavoro ha girato il mondo: in soli 5 anni, la calciatrice del Connecticut ha giocato in Islanda, nella Roma, a Los Angeles e nel Paris Saint Germain, passando dalla città di Fjarðabyggð ai campi della capitale francese. Il periodo più lungo, però, sono state le tre stagioni al Tre Fontane, lo stadio dell'Eur dov'è di casa la squadra femminile oggi capitanata da Elisa Bartoli. E ha appena firmato per il Milan.

La notizia arriva pochi minuti prima della nostra intervista, sorride al pensiero che fra pochi mesi questa città sarà la sua nuova casa e non ha nemmeno tempo di visitarla perché arriva direttamente da Amsterdam, dove la Jamaica è in ritiro prima di partire per Sidney. Atterra a Linate e viene al campo, dove sembra più sotto pressione davanti ai pochi giornalisti, due videocamere e alcuni bambini del campus estivo che sul prato di una competizione mondiale: dribbla tra i coni, si ferma e ride, «Non so cosa devo fare» e calcia a porta vuota con timidezza. Viene da pensare che non c'è niente di più strano di chiedere a qualcuno di fare quello che gli viene meglio.

Ci racconta del suo mondo e dello sport che cambia: fa parte di una generazione che assiste alla trasformazione del calcio femminile, nel suo caso con la fortuna e il dovere di farlo in modo attivo. Non più solo sportive professioniste: negli ultimi anni le giocatrici sono idoli da imitare, esempio di carriera da intraprendere per giovani ragazzi e ragazze. Negli Stati Uniti il processo è iniziato da qualche anno e l'importanza della leadership femminile nel calcio passa anche da scelte come quella di Natalie Portman di comprare l'Angel City F.C., il club di Los Angeles per cui Swaby ha giocato dal 2021 al 2023. Allyson è consapevole di rappresentare la nuova voce dello sport e conosce il peso delle sue scelte.

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Matteo de Mayda
Allyson Swaby è la nuova cover digitale di Cosmopolitan. Styling di Allyson Fullin / Virginia Bettoni. Fotografia di Matteo de Mayda

Emozionata di essere di nuovo in Italia, dopo tre stagioni alla Roma?

«Sì, sono molto felice di essere di nuovo qui, ovviamente non sono proprio a Roma, ma questo mi rende comunque nostalgica. È stato un bellissimo periodo della mia vita».

Quando hai capito che ti sarebbe piaciuto diventare una calciatrice professionista?

«Penso di averlo sempre saputo, in fondo. Forse il momento preciso, però, è stato quando ho lasciato il college per proseguire la mia carriera professionale esclusivamente come atleta nella squadra nazionale. Mi sono resa conto che ero davvero felice quando giocavo. Con dei sacrifici, ovviamente».

Spiegami meglio.

«È difficile lasciare tutto e partire per l'estero, ovviamente la mia vita non mi permette di vedere spesso i miei amici e di stare con la mia famiglia, ma credo allo stesso tempo che il successo che ottengo sul campo, e vedermi fare quello che mi rende felice, sia un motivo di gioia anche per loro, oltre che per me. Questa vita comporta delle scelte, ma anche grandi soddisfazioni per tutti e ne vale assolutamente la pena. Alla fine il sacrificio è lasciare indietro situazioni che non sono in linea con gli obiettivi che vuoi raggiungere e con i sogni che vuoi realizzare per te stesso, in favore della mia carriera in questo caso. E io sono fortunata ad avere al mio fianco persone che hanno capito dove voglio arrivare».

E qual è il tuo obiettivo?

«Giocare, finché potrò. Vorrei arrivare a un certo punto in cui mi guardo indietro e mi rendo conto di non avere rimpianti, di aver vissuto tutto al massimo e con grande felicità, senza paura. E di lasciare le cose migliori di come le ho trovate».

Qual è stato, fino ad ora, il momento più felice della tua vita professionale?

«Sicuramente la prima qualificazione ai Mondiali, mi ha motivata molto e ha cambiato il mio modo di vedere il gioco. È stato bellissimo giocare con le migliori squadre del mondo».

E della tua vita privata?

«Mmm.. non so in realtà, è una domanda molto semplice ma sono le più difficili. Mi viene in mente il diploma, ma, più che felice, diciamo che ero molto sollevata (ride, ndr). Sicuramente il momento più felice di sempre è stato quando sono tornata a casa dopo il mio primo viaggio lontano da casa, da sola. Io, i miei genitori e i miei amici non eravamo mai stati separati per così tanto tempo. Quando li ho rivisti e ho capito che non era cambiato nulla, che era tutto come sempre, a quel punto ho capito di aver superato l'ostacolo più difficile».

Una delle cose più stimolanti è vedere che ho ancora tanta strada davanti e che c'è ampio margine di miglioramento, sempre. Vedere quello spazio tra me e l'obiettivo mi permette di non accontentarmi mai
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Matteo de Mayda

Hai un idolo, un punto di riferimento?

«Non ho un personaggio specifico. O meglio, diciamo che tutto ciò che riguarda il calcio per me è di grande ispirazione. Le professioniste che gareggiano nei più importanti campionati del mondo e ci gioco insieme tutti i giorni, questa è sicuramente l'ispirazione maggiore. Non è una persona specifica ma uno sport a tutto tondo. Una delle cose più stimolanti è vedere che ho ancora tanta strada davanti e che c'è ampio margine di miglioramento, sempre. Vedere quello spazio tra me e l'obiettivo mi permette di non accontentarmi mai».

Una canzone italiana dice "un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia". Quali caratteristiche secondo te contano in un giocatore?

«Sono tre punti importanti, sicuramente. Il coraggio è un concetto molto potente nel calcio, dipende molto però anche da come ti senti il giorno del match, c'è sempre un momento in cui è difficile trovare coraggio, in cui tutto sembra impossibile. Poi c'è il gioco di squadra: è vero che la propria performance viene prima di tutto, ma bisogna sempre ricordarsi che ci sono altre 10 persone in campo, che non esiste calcio senza gruppo, e così come la squadra è lì per tirarti su se cadi, anche tu sei lì per le compagne. La creatività è un bellissimo concetto da applicare al calcio, è ciò che separa un calciatore amatoriale da un professionista, lo trovo bellissimo. Per me un'altra caratteristica fondamentale è essere versatile. Nella vita succedono così tante cose che è molto importante saper reagire, quindi in questo senso è come essere sul campo, dove siamo abituate a rispondere sempre a quello che ti succede di fronte. E soprattutto è fondamentale continuare a insistere anche se la partita non sta andando proprio come vorresti o come ti saresti immaginata.

Nella vita succedono così tante cose che è molto importante saper reagire, quindi in questo senso è come essere sul campo, dove siamo abituate a rispondere sempre a quello che ti succede di fronte. E soprattutto è fondamentale continuare a insistere anche se la partita non sta andando proprio come vorresti o come ti saresti immaginata

Esiste una differenza tra il calcio femminile e maschile?

«Penso che sia solo nel tipo di investimento fatto dagli sponsor e dai media nel dargli visibilità, è tutto ancora molto nuovo per il pubblico. Perché raggiungano lo stesso livello è importante che si arrivi alla parità in ambito commerciale, solo a quel punto anche le persone lo percepiranno allo stesso livello del campionato maschile».

Hai giocato in Italia, pensi che il calcio rifletta la cultura del proprio Paese?

«Certo, il calcio è lo specchio di come un Paese si auto-rappresenta, è un lato culturale e identitario fondamentale. La nazionale italiana è conosciuta per l'orgoglio, e si vede da come canta il proprio inno prima della partita. Da noi c'è la musica, un'esperienza quotidiana fin da quando siamo piccoli. La musica accompagna la nazionale femminile per cui gioco, la Jamaica (chiamate anche Reggae Girlz, ndr) in ogni momento della partita, ed è il riflesso delle nostre strade, dove la musica si sente in ogni angolo, esce dalle finestre delle case, si balla la sera nei locali. Siamo circondati di musica sempre, quindi anche quando giochiamo».

La nazionale brasiliana è appena arrivata in Australia con i volti di Masha Amiri e Amir Nasr Azadani disegnati sull'aereo della squadra, a sostegno delle proteste in Iran. Pensi che il calcio in qualche modo abbia un potere politico?

«Penso che le persone di rilevanza pubblica, che hanno grande visibilità, hanno una responsabilità in più ed è importante che la sentano, per prendere la parola della gente, per schierarsi con le battaglie che credono sia giusto difendere. È importante nei confronti delle persone che hanno meno privilegi di noi. Quindi è ancora più importante che i giocatori e i personaggi in vista si documentino, leggano, sappiano cosa sta succedendo nel mondo e prendano una posizione. In questo i social hanno un grandissimo potere, aumentano la consapevolezza delle persone che ci seguono, che condividono i nostri valori».

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Matteo de Mayda

Per anni hai giocato nell'Angel City, di proprietà di Natalie Portman e America Ferrera. Anche una leadership femminile è un atto politico.

«Quando ci vengono a vedere mentre giochiamo e si siedono a bordo campo è abbastanza surreale (ride, ndr). Quando ti capita di avere due attrici che stanno in panchina mentre giochi? Penso che quello che fanno è incredibile, hanno deciso di rendere l'Angel City FC femminile anche nella leadership. La squadra è formata da donne, per le donne, ispirata dalle donne, è un progetto che ha anche un successo economico e commerciale, è molto potente. L'uguaglianza passa anche da questo tipo di scelte e il pubblico lo percepisce, è un passo verso il cambiamento».

La squadra è formata da donne, per le donne, ispirata dalle donne. L'uguaglianza passa anche da questo tipo di scelte


Lo sportswear sta diventando una forma di conquista in battaglie di genere. Qual è per te il potere dell'uniforme da calcio?

«Lo street-fashion evolve con la società, che va avanti e si trasforma, cambiano i riferimenti anche fisici, e quindi è importante che in questo lo sportswear si sia trovato uno spazio nel no gender, perché vediamo donne e uomini vestire gli stessi modelli. Anche in questo lo sport unisce. E chi avrebbe mai immaginato che le uniformi delle squadre sarebbero tornate così di moda? Mi piace molto questa vibe Anni '90».

Però i corpi delle donne e degli uomini sono diversi.

«Sì, finalmente stiamo capendo che le donne hanno esigenze fisiche diverse. Vedi Wimbledon, dove finalmente alle donne è stato permesso di non indossare biancheria intima bianca sotto la divisa da gioco, per evidenti ragioni. Nello sport, dove c'è anche uno sforzo fisico, è fondamentale sentirsi a proprio agio e potersi esprimere in tutti i sensi. Alla fine è un mondo che evolve insieme al suo pubblico e ai professionisti, ognuno con le sue esigenze, ed è fondamentale assecondarle. E dalla sua unione con la moda nasce un'alleanza molto positiva».

C'è qualcosa che ti porti sempre dietro durante le partite?

«Non ho un oggetto che è sempre con me, ma diciamo che una costante sono le mie unghie perfette. Mi piace tantissimo avere le unghie un po' pazze, è un modo per esprimermi e mi diverto molto a farle».

Cosa diresti alla te bambina?

«Divertiti, ama quello che fai e fai quello che ami, perché finché sarà così sarai nel posto giusto».