C'è quello che sponsorizza gioielli, la make up artist che promuove l'ultima uscita nel mondo del make up, chi si diletta con prodotti per la casa, cancelleria, ristoranti, viaggi, elettrodomestici. Il mercato degli influencer, in Italia e nel mondo, è un florido sostegno dell'economia, con un introito stimato in circa 323 milioni di euro per il 2023: lo ha rivelato una ricerca dell'UPA (Utenti Pubblicità Associati) inquadrando un fenomeno che è molto più aleatorio di quanto si pensasse ai suoi esordi. Inutile girarci intorno, i content creators servono. E lo dimostra il fatto che, sempre secondo l'UPA, ben il 56% delle aziende intervistate ha specificato che la spesa destinata alle attività di influencer marketing arriva direttamente dal budget pubblicitario. Come la tv, i giornali e il web, anche i creators sono diventati dei media: il caso Chiara Ferragni e Balocco, che ha accelerato una stretta sul lavoro di questi professionisti dei social, non cambierà lo scenario di un mercato fortunatissimo e prolifico. Anche se un cambiamento già c'è stato, con l'approvazione del DDL Ferragni approvato dal Governo il 25 gennaio, che avrà il compito di regolamentare le collaborazioni degli influencer a scopi benefici.

Ma allora, perché si parla di crisi degli influencer?

La ragione è solo una: fino a ora le regole del settore sono state nebulose, offuscate dal fatto che, quello del creator, non fosse considerato a conti fatti una vera professione. Ma, numeri alla mano, oggi non è più possibile negare che chi crea contenuti per brand e aziende sui social sotto pagamento di un compenso abbia esattamente gli stessi obiettivi di uno spot tv, ovvero raggiungere più persone possibili per convincerle della validità di quel prodotto, di quel ristorante o di quell'aspirapolvere. I problemi arrivano quando le pubblicità non sono segnalate, o quando sono nebulose o presentate in modo scorretto ed è per questo che nei giorni scorsi si è parlato insistentemente di una rivoluzione, in termini di norme che vada a regolamentare il lavoro dei creators. La strada è in salita ma il caso Ferragni ha senz'altro avuto il merito di far esplodere la bolla del web portando all'attenzione del grande pubblico un problema abbastanza ingombrante. Anche perché è proprio quel pubblico a diventare, su Instagram o TikTok, il fruitore di quei contenuti pubblicitari spesso pubblicati in modo poco trasparente.

Fare l'influencer è un sogno di tanti

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Secondo alcuni dati riportati da Repubblica, ogni 100 persone che vivono nel nostro paese il 2,1% sogna di diventare un influencer. I riferimenti più quotati (e copiati) sono Chiara Ferragni, che, essendo diventata negli ultimi anni una celebrity, è anche la più conosciuta tra le masse, Benedetta Rossi e Clio MakeUp. Seguono Aurora Ramazzotti e Frank Matano, che però sono anche personaggi televisivi e quindi percepiti come ibridi da chi li segue (no solo sui social). Sempre secondo i dati riportati da Repubblica, nel 2023 gli influencer italiani hanno pubblicato oltre 160 mila contenuti a sfondo pubblicitario, post e video tracciabili perché opportunamente segnalati con l'hashtag #adv, unico modo, insieme agli strumenti proposti dai social come Instagram o TikTok, per avvisare gli utenti. Fare l'influencer ha un appeal incredibile sulle nuove generazioni, nativi digitali e dunque efficienti nella gestione delle piattaforme e delle loro problematiche. Per questo - e visti gli introiti importanti del mercato - non ha alcun senso demonizzare la categoria: servirebbe solo impostare regole chiare, capaci di scremare chi lavora in modo poco trasparente e di promuovere tutti gli altri, per far evolvere un mestiere che ha solo bisogno di essere trattato come gli altri (nel bene e nel male) per poter essere compreso.