Milano, venerdì pomeriggio, Torneria Tortona, l’headquarter della Milano Music Week.
La sala Unicredit si riempie di persone che si riuniscono per ascoltare un panel fortemente voluto dalla cantautrice e presentatrice di XFactor Francesca Michielin, curatrice dell’edizione 2023. Equaly, la prima realtà italiana che si occupa di parità di genere nel music business presenta i risultati di un questionario sulla violenza e le molestie nei confronti delle lavoratrici della musica. Cosa vuol dire essere donna oggi e lavorare in questo settore? La musica è un lavoro da uomini? Con un questionario promosso e analizzato dalla sociologa e musicista Rebecca Paraciani, si contano 153 risposte mappate che raccontano quanto lavoro ci sia ancora da fare.

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Courtesy of Instagram @francescamichielin
Milano Music Week 2023 - Torneria Tortona

Noi di Cosmopolitan, partner della manifestazione, saliamo sul palco per discutere con Francesca Barone, co-founder di Equaly, Daniele De Martini, CFO e HR Universal Music Italia, Francesca Bubba, attivista e autrice e Angelica, cantautrice. Realtà diverse che vivono e si muovono in un unico ambiente, storie che si incrociano nel comun denominatore della disparità. Equaly analizza i risultati della ricerca, presentando un quadro poco incoraggiante. I numeri parlano chiaro: nell’industria musicale italiana solo il 21,6 % dei cantanti è donna, 12,6% per le compositrici e il numero si abbassa ancor più notevolmente quando si parla di produttrici: siamo al 2,6%. E se pensiamo al Festival di Sanremo, la più grande manifestazione musicale del nostro paese, è evidente che ci sia qualcosa che non va. Dal 1950 al 2022 solo il 5,9% dei cantanti in gara è donna. Il 15,4% nel ruolo di presentatrici, 1,3% direttrici artistiche. Dove sono le donne?

Sono poche, troppo poche, ma molte invece sono le violenze. In un ambiente in cui formale e informale si confondono, quando i confini del giorno si mescolano a quelli della notte, diventa difficile riconoscere molestie e violenza sul lavoro. Proprio per questo motivo è nato il questionario, numeri alla mano, con cui raccogliere altrettante testimonianze, con l’obiettivo di accendere una luce sul problema. Disparità sì: numeri, stipendi, riconoscimenti. Ma anche violenza, più verbale, psicologica ed economica, che fisica, che comunque sussiste, a sminuire il ruolo di una donna nel settore. Mentre l’83 per cento delle rispondenti dichiara di essersi sentita discriminata almeno una volta, il 73,9 dichiara di aver subito discriminazioni sulla base del genere e solo il 22 per cento risponde di non aver mai subito comportamenti violenti sul lavoro. Sono esplicative le frasi che sono state raccolte e che raccontano un mondo fatto di uomini che non chiamano per nome la donna lavoratrice, che osteggiano la maternità e vivono come un problema i figli, che usano le mestruazioni come scusa caratteriale o sminuiscono la professionalità. Gap economico, di donne che a parità di ruolo guadagnano meno, frasi equivoche, approcci sessuali, commenti sul corpo. E chi più ne ha più ne metta.

Essere donna, madre, lavoratrice, come se fosse impossibile essere all’altezza del ruolo.
Si parla di figli
con l’attivista Francesca Bubba, autrice del libro “Preparati a spingere”, in un ambiente in cui gli orari spesso notturni della professione si scontrano con quelli della maternità, con altri numeri che fanno venire i brividi. Si conta il 30% delle donne che dopo il parto lasciano il lavoro, solo nel 2022 ci sono stati 42mila licenziamenti.

“Le donne non hanno fantasia artistica, si limitano solo ad emulare ciò che è stato creato dai musicisti uomini”, “Zero neuroni per zero neuroni almeno ne prendevo una figa”, “Sei troppo sensibile”, “Lei ha il problema dei figli”, “Ma è tutta tua la strumentazione? La monti da sola?”, “Chissà con chi ha scopato per occupare questo posto?”, sono solo alcune delle frasi delle testimonianze raccolte.

È un dibattito acceso che cerca di portare l’attenzione su un problema che è ancora tutto da risolvere, nonostante i primi segnali di cambiamento stiano avvenendo. Non ci sono risposte da dare, ma azioni da fare. Cercando di parlarne e di tenere l’attenzione sul tema sempre di più. Noi di Cosmopolitan non ci fermeremo.