Pietro Terzini è il comunicatore artista capace di leggere l’essenza di una generazione, non solo la Gen Z, attraverso un utilizzo intelligente e ironico dei mezzi tech e del linguaggio moda. Terzini è un raffinato conoscitore della comunicazione post moderna e al contempo sa far tesoro dei lasciti dei grandi maestri del passato: è forse il vissuto di Diego Rivera, marito di Frida Kahlo, padre dei murales intesi come forma d'arte totalizzante e democratica, comunicativa e accessibile, a collimare nel suo percorso? E che dire delle affinità con le intuizioni pop(ular) di Andy Warhol che negli anni '60 del '900 ha capito come fare arte e critica alla sua stessa società amplificandone ossessioni e comportamenti. Per Terzini, persino due come Basquiat e Keith Haring potrebbero essere benissimo suoi pro cugini per come i graffiti urban e i messaggi diretti di entrambi nascono con l'intento di contagiare velocemente la collettività.

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Il lavoro di Terzini così amato e ripostato sui social spazia dalle contaminazioni tra linguaggi, alla sintesi visiva di mash-up accattivanti. Siano i packaging dei grandi brand della moda su cui scrive pensieri e giochi di parole, semplici eppure ficcanti, sia la manipolazione digitale delle schermate degli instant message capace di creare immedesimazione certa. Dopo l'exploit con Hermès Pietro Terzini è intervenuto sulla comunicazione di Balenciaga, Prada, Stella McCartney, Gucci e Vestiarie Collective e, più di recente, di DoDo per la serie di charm Zodiaco.

Come ha raccontato a Cosmo, da Millennial Pietro ricorda benissimo la sua addiction per pepite e ciondoli con cui arricchire, a ogni compleanno, il polso di teen attento ai trend. Quasi vent'anni dopo, è proprio lui ad accrescere quell'affezione grazie a un progetto a tema astrologia lungo un anno, sviluppato sui canali social del brand: ogni mese, tutti e dodici i segni dello Zodiaco avranno il proprio meme/instant message con cui rappresentarsi agli altri con il sorriso e una buona dose di ironia.

Pietro Terzini, i quadri, Instagram e il Metaverso

Architetto, Pietro è provvisto di una curiosità pro attiva molto trasversale. Dopo sei anni trascorsi come Head of Digital nelle società di Chiara Ferragni, Pietro Terzini è pronto a vivere una delle sue prossime vite. Classe 1990, toro ascendente cancro, si è fatto strada sul terreno trasversale del web grazie a uno sguardo acuto e ironico, mescolando loghi di moda e pensieri sulla vita, l’amore e le ansie, in una poetica contemporanea poco ovvia e molto-molto urbana. «Non appena sono uscito dagli studi ho come avuto un corto circuito: alle persone serve un messaggio, semplice e immediato. Io gliel'ho offerto con giochi di parole e grafica», ci racconta.

Sono giorni difficili, come è cambiato il tuo lavoro sui social tra la situazione in Ucraina e il lungo corso del Covid?

«Quando mi sono svegliato la mattina del 24 febbraio leggendo dell’attacco, mi sono detto che non era possibile. Ho fatto subito un post che è diventato virale, People Just Want Peace, forse il mio più condiviso di sempre. Mi è proprio uscito dal cuore. Dai, la gente vuole solo la pace. Davvero nel 2022 succedono ancora queste cose? È inaccettabile. Intendo per la gente normale, non gli oligarchi, non i politici, non chi produce armi. Lasciateci in pace, questo è un sentimento guidato dall’esasperazione: un insight viscerale che però è autentico. Le persone vogliono stare tranquille. Mi viene in mente la crisi economica dell’occidente, tra il 2006 e il 2008, e poi la rivoluzione dei social che ha stravolto e cambiato i valori, i principi e i cardini dell’agire delle persone. In questi giorni di delirio gestire con coerenza un flusso comunicativo digitale non è certo facile, se dici abbasso la guerra ma poi ti fai il weekend a St. Moritz. Ma Instagram si sa, è la piattaforma della frivolezza. Con l'ultimo progetto GorillART, in collaborazione con Gorillas, la piattaforma di delivery express, ho affidato delle opere a tema pacifista in vendita sino a esaurimento scorte a un prezzo amico (30 euro, ndr): l'intero ricavo andrà in supporto dell’organizzazione Refugees, ente che si occupa di accoglienza dei civili arrivati in Italia dall’Ucraina. Le frasi che ho scelto sono Choose Love. People just want peace. No war».

Chi ti segue sui social si aspetta da te un impegno politico?

«Credo di essere seguito per il mio tone of voice, il segreto è stato riportare nei miei lavori quello che sono veramente. Ovvio, a chi piace quello che faccio si aspetta dei temi, ma pur sempre raccontati con ironia e provocazione. Lavorare con le parole senza mai apparire è un plus che mi permette di mantenere una linearità autentica piuttosto coerente. Durante il lockdown per il Covid ci furono bombardamenti in Palestina e anche in quella occasione pensai di dover “dire” qualcosa».

Sei riuscito a giocare con la Moda del lusso seducendola, come è accaduto?

«A dirla tutta potrei essere attaccato dal punto di vista legale in ogni momento visto che faccio appropriazione dei loghi dei brand per poi scriverci sopra dei messaggi. Invece i grandi nomi della moda hanno capito il valore della visibilità e condivisibilità necessari a rafforzare un nuovo rapporto più stretto con il loro pubblico. I miei sono praticamente dei meme che fanno dei corto circuiti e per via indiretta uniscono la comunicazione a più livelli. La moda ha capito di non dover più parlare solo a una elite mondiale di persone ma a tutti, come i giovanissimi che animano i canali di TikTok. Quattro utenti di questo social su 10 non hanno nemmeno un account Instagram: per loro lì ci sono solo boomer».

Ma a te piace TikTok?

«Ehm, no. Non ce la faccio, non mi prende. Lo conosco da quando, ai tempi, si chiamava ancora Musically ed era solo balletti e lip sync. Oggi ci sono i #pov i challenge, ma devo riconoscere che i tiktoker hanno più talento rispetto agli Instagrammer, dimostrando di avere grandi capacità attoriali e di intrattenimento. Ma se devo essere sincero diciamo che preferisco guardarmi un bel film».

Ci sei già stato nel Metaverso?

«Faccio un passo indietro con la memoria all’asta di Christie's nel 2019 con i primi NFT veduti a prezzi esorbitanti (un'opera digitale dell'artista Beeple fu venduta per 69 milioni di dollari, ndr). Ecco, lì è cambiato qualcosa, in quel momento la stringa di un codice passava automaticamente a opera d'arte di valore. Se posso dire la mia adesso è come rivivere la fase 3.0 di Second Life e The Sims, cioè sembra ancora un videogioco. Il Metaverso funzionerà solo se la renderizzazione di quello che succede in uno spazio digitale sarà pressoché uguale a ciò che avviene nella realtà. Se il confine tra il reale e il virtuale con visore non si vedrà. Considero la digital fashion week nel Metaverso un esperimento parecchio migliorabile, quindi sarà solo il tempo a rivelarci se sarà o meno un grandissimo sì. A contare sarà l’esecuzione dell’idea. La mia? Una birretta gelata presa al bar con gli amici nella vita vera».

Vedi delle differenze tra i GenZ e voi Millennials?

«A loro non manca niente, hanno pure troppo. Se ripercorro la mia adolescenza ricordo un momento preciso di svolta quando guardai nel 1996 o ’97 il film Space Jam. Appassionato com’ero di basket, musica hip hop e abbigliamento streetwear ante litteram, reperire informazioni e prodotti legati a quel mondo era molto più difficile ma non impossibile. Facevo molta ricerca pro attiva e questo mi gasava. Oggi ai Gen Z viene propinato di tutto, non lo cercano, ma se arrivano proposte poi fanno selezione.

L’accesso alle informazioni è immediato: la questione è saper scegliere in base al gusto. In giro c’è così tanto rumore di fondo che se non hai una cosa tua, una voglia tua di capire, poi non scegli mai davvero. Ti fidi di tutti. Ed è come andare a mangiarsi una pizza con un menù di 100 gusti e scegliere sempre la stessa».

Come ti vedi nel futuro tra 5 anni? 5 mesi, 5 giorni?

«Questa mattina, mentre camminavo, mi sono proprio detto "Adesso sto chiudendo il mio capitolo nelle società di Chiara (Ferragni, ndr) ma senza aver vissuto questi anni da lei non avrei mai potuto aprirne uno nuovo dedicato alle mie produzioni artistiche. In nessun modo". Credo quindi fermamente che il contesto influenzi totalmente ciò che si fa. Ci possono essere delle predisposizioni generali come succede nella scrittura, nella pittura o nel cinema, ma tirare fuori qualcosa di creativo passa inevitabilmente attraverso il contesto in cui si è vissuto. Quindi adesso mi vedo parecchio impegnato a sviluppare la mia arte, ovvero la fotografia del presente che per definizione non può essere sempre uguale a se stessa ma costantemente evolvere. E per farlo in un mondo totalmente globalizzato io dico, stay local!»