Ci sono storie terribili come quelle della mamma di Como, lo scorso 24 gennaio condannata a un anno e quattro mesi per maltrattamenti dopo aver affamato per mesi la figlia, che all'epoca dei fatti aveva 16 anni: la chiamava «grassa» e «brutta» e la costringeva a mangiare solo carote per rimanere sul peso forma per lei ideale. Ci sono poi vicende altrettanto orribili e ricorrenti in cui cambiano i nomi e i volti ma la sostanza rimane uguale: famiglie che non accettano l'orientamento o l'identità sessuale dei propri figli e li osteggiano come possono, fino ad arrivare al vero e proprio abuso, con conseguenze a volte letali sul benessere mentale o sulla salute. Qualche settimana fa, durante una puntata della nuova stagione di C'è Posta per Te di Maria De Filippi, davanti agli occhi dei telespettatori è andato in onda uno spettacolo cruento, con protagonista una madre terrorizzata dall'omosessualità della figlia pronta a tutto pur di tenerla lontana dalla sua compagna.

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Poi ci sono le storie genitori-figli commoventi. Ed è stato Jannik Sinner, campione italiano di tennis che il 28 gennaio si è aggiudicato una storica vittoria agli Australian Open dedicandola a sua madre e a suo padre, a raccontarcela con la coppa in mano. «Vorrei che tutti avessero dei genitori come i miei. Mi hanno sempre permesso di scegliere e non mi hanno mai messo sotto pressione. Auguro a tutti i bambini di avere la mia libertà».

Proprio di libertà, di confini e di equilibrio abbiamo parlato con la psicoterapeuta Agnese Lombardi, che nello studio torinese Trama e Ordito si occupa di bambini, adolescenti e di sostegno alle famiglie.

Dottoressa, quali sono le ragioni culturali, oltre quelle individuali, che alimentano situazioni limite come quelle citate all'inizio dell'articolo?

«All'origine di certi comportamenti, volendo generalizzare un argomento molto complesso, c'è spesso la paura. Davanti alla quale alcuni i genitori possono attivare due atteggiamenti: il controllo eccessivo tramite interventi continui oppure la delega più totale ai figli nell’ottica dell’educazione alla libertà. A livello culturale abbiamo internalizzato l'idea che un figlio debba essere specchio del genitore. Lo si riscontra proprio quando avvengono fatti di cronaca in cui i protagonisti sono bambini o adolescenti: il giudizio di chi ascolta va subito ai genitori, in particolare alla madre, come responsabili di una mancanza educativa. E questa cultura si riflette anche all'interno delle relazioni familiari: attraverso i figli puntiamo a costruire una buona immagine di noi. Per questo si può arrivare a comportamenti che, da educativi, diventano controllanti e non permettono un sano processo di differenziazione, cioè un percorso per scoprire la propria unicità e diversità rispetto ai genitori e agli altri».

Quali sono le emozioni, le paure, i motivi che fanno nascere casi di omofobia - se non peggio - in famiglia? Anche in questo caso c’è anche una motivazione culturale alla base?

«Certamente, l’omofobia ha ragioni profondamente culturali. Per fortuna è in corso un percorso di decostruzione dell’identità che gradualmente si sta concretizzando non solo negli ambienti già caratterizzati da un'attenzione alle tematiche di genere. Lì dove però ci sono famiglie in cui questo processo non è possibile per mancanza di strumenti o per resistenze individuali e in cui si guarda ai figli, come dicevamo prima, come se fossero uno specchio di se stessi, un orientamento sessuale diverso dall'eterosessualità diventa un problema, una malattia, qualcosa da curare o in generale a cui si deve rimediare, se non addirittura una colpa che non si può perdonare».

Spesso, da genitore, ci si ritrova a riflettere aspettative e paure personali su figli senza considerare che sono esseri umani con sogni, speranze e paure diversi dai propri. Come si fa a creare i confini necessari di cui parlava sopra?

«Si tratta di un viaggio difficile, perché da genitori possono scaturire paure spesso irrazionali che spingono ad agire puramente di istinto. Siamo portati a mettere in atto tutti i comportamenti che riteniamo necessari per poter proteggere i figli, soprattutto quando sono piccoli e non hanno gli strumenti per farlo da soli. Anche in questo caso possiamo tenere conto di ragioni individuali e di ragioni più sociali e culturali. Nel secondo caso spesso i genitori si ritrovano soli e inconsapevoli delle modalità educative, di cosa significhi fare il genitore. A volte basterebbe avere un confronto con altri genitori per preoccuparsi molto meno: ciò che nella solitudine si vive come un problema, diventa una condizione che attraversano tutti i bambini di cui non siamo responsabili. Il livello di paura e di ansia si abbassa e si può agire in maniera differente, con una consapevolezza maggiore. I confini tra genitori e figli si creano nel momento in cui i primi sono disposti a sentire e vivere i secondi, senza necessariamente annullarsi. Mantenere i confini significa non perdersi all’interno della relazione ma riuscire a mantenere i propri spazi individuali e di coppia educando fin da subito all’essere persone diverse, tutte con i propri bisogni. L'obiettivo è saperli conoscere e rispettare».

Educare, secondo i più recenti dettami del positive parenting, non vuol dire quasi mai imposizione, né controllo. Come si fa a essere genitori consapevoli di figli felici e liberi di esprimere sé stessi?

«In generale ciò che è importante avere sempre ben chiaro è che il nostro compito non è proteggere i nostri figli, né renderli felici, ma renderli autonomi e capaci di proteggersi e crearsi la propria felicità in maniera indipendente da noi. Lo ribadisco, i figli non sono specchi che devono riflettere le nostre aspettative, sono una possibilità creativa e espressiva che un genitore ha. Il compito è aiutarli per trovare uno spazio all’interno di una società con regole che possono essere modificate, ma valori che sono comuni. Alla fine è quello che succede all’interno della famiglia: mamma e papà possono essere diversi, vivere con regole diverse, litigare anche, ma ciò che li tiene uniti sono i valori intorno ai quali come coppia hanno deciso di costruire la loro famiglia».